John Kenneth Melvin. Truth with Lies
A cura di: Luca Palermo
TRUTH WITH LIES - An exploration of ecological forms
John K. Melvin ha, negli anni, costruito la sua metodologia lavorativa su fondamenta conoscitive volte alla creazione di un dialogo costante tra prassi artistica e culturale e le criticità connesse all’ambiente e all’ecologia. Partendo da una siffatta speculazione intellettuale l’artista realizza installazioni che, con la loro capacità di combinare, metaforicamente, le suddette criticità con l’organicità della forma, sono in grado di far scaturire o di alimentare quella scintilla necessaria affinché possa avviarsi quel dialogo di cui sopra e, da esso, un confronto costruttivo tra l’artista, le opere e lo spettatore e tra gli spettatori stessi.
Le opere in mostra ripercorrono, in qualche modo, la strada battuta da John K. Melvin in precedenti esperienze nelle quali l’attenzione dell’artista si è rivolta all’esplorazione della materia plasmandola in forme in costante evoluzione. Ed è proprio la materia a rivestire un ruolo di primaria importanza nella prassi creativa dell’artista americano: nulla è lasciato al caso; l’utilizzo di materiali poveri e facilmente reperibili si fonde alla perfezione con l’impiego di supporti e tecniche costruttive altamente specializzate a voler sottolineare, ancora una volta, tutti i paradossi della società e della cultura del XXI secolo.
Paradigma di tale dualismo, ad esempio, l’utilizzo del cartone combinato ad una resina termoplastica nota come mylar utilizzata per le sue proprietà elettriche, resistenza chimica, prestazioni alle alte temperature, autoestinguenza etc. Una “contraddizione” di materie e forme che riesce, inevitabilmente, a far riflettere sulle urgenze ambientali e su quanto sia sempre più difficile una serena convivenza tra il vecchio e il nuovo mondo.
In John K. Melvin la vocazione materica si scontra con tutto ciò che caratterizza la forma fino a metterla di discussione dal suo interno; il suo lavoro mina il già precario equilibrio tra materia e forma, andando ad incidere in maniera determinante su quelle zone di contatto e, quindi, di prossimità e separazione, tra astrazione e figurazione.
La materia di Melvin rimanda, senza dubbio, agli elementi naturali (l’aria e la terra tra tutti) e a ciò che gli antichi naturalisti definivano “l’interno delle cose”: le sue sono opere fatte di ombre e luci, di distensione ed estensione, di generazione e corruzione della materia, ma anche di ricerca e di scoperta di inusitati sentieri, suoni inarticolati e silenzi.
Del resto, citando Jean Dubuffet, artista che ritengo abbia, senza dubbio, ispirato il lavoro di John K. Melvin, “la vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia il suo nome. L'arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla in comune con l'intelligenza né con la logica delle idee”.
John K. Melvin ha, negli anni, costruito la sua metodologia lavorativa su fondamenta conoscitive volte alla creazione di un dialogo costante tra prassi artistica e culturale e le criticità connesse all’ambiente e all’ecologia. Partendo da una siffatta speculazione intellettuale l’artista realizza installazioni che, con la loro capacità di combinare, metaforicamente, le suddette criticità con l’organicità della forma, sono in grado di far scaturire o di alimentare quella scintilla necessaria affinché possa avviarsi quel dialogo di cui sopra e, da esso, un confronto costruttivo tra l’artista, le opere e lo spettatore e tra gli spettatori stessi.
Le opere in mostra ripercorrono, in qualche modo, la strada battuta da John K. Melvin in precedenti esperienze nelle quali l’attenzione dell’artista si è rivolta all’esplorazione della materia plasmandola in forme in costante evoluzione. Ed è proprio la materia a rivestire un ruolo di primaria importanza nella prassi creativa dell’artista americano: nulla è lasciato al caso; l’utilizzo di materiali poveri e facilmente reperibili si fonde alla perfezione con l’impiego di supporti e tecniche costruttive altamente specializzate a voler sottolineare, ancora una volta, tutti i paradossi della società e della cultura del XXI secolo.
Paradigma di tale dualismo, ad esempio, l’utilizzo del cartone combinato ad una resina termoplastica nota come mylar utilizzata per le sue proprietà elettriche, resistenza chimica, prestazioni alle alte temperature, autoestinguenza etc. Una “contraddizione” di materie e forme che riesce, inevitabilmente, a far riflettere sulle urgenze ambientali e su quanto sia sempre più difficile una serena convivenza tra il vecchio e il nuovo mondo.
In John K. Melvin la vocazione materica si scontra con tutto ciò che caratterizza la forma fino a metterla di discussione dal suo interno; il suo lavoro mina il già precario equilibrio tra materia e forma, andando ad incidere in maniera determinante su quelle zone di contatto e, quindi, di prossimità e separazione, tra astrazione e figurazione.
La materia di Melvin rimanda, senza dubbio, agli elementi naturali (l’aria e la terra tra tutti) e a ciò che gli antichi naturalisti definivano “l’interno delle cose”: le sue sono opere fatte di ombre e luci, di distensione ed estensione, di generazione e corruzione della materia, ma anche di ricerca e di scoperta di inusitati sentieri, suoni inarticolati e silenzi.
Del resto, citando Jean Dubuffet, artista che ritengo abbia, senza dubbio, ispirato il lavoro di John K. Melvin, “la vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia il suo nome. L'arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla in comune con l'intelligenza né con la logica delle idee”.
Luoghi
www.eventitre.net 081 0484111 320 6564903
Orari di apertura: da lunedì a venerdì dalle 10.30 alle 12.30 e su appuntamento chiamando il 320 6564903