In hoc signo...
A cura di: Associazione Culturale L'Arco e la Fonte
l'arte contemporanea interroga la croce
di Nino Portoghese e Annibale Vanetti
ARTISTI: Andrea Decani, Markus Daum, Luciano Puzzo, Jano Sicura, Annibale Vanetti
La mostra si presenta con la stessa complessità e con la stessa unità drammatica delle Cappelle dei Sacri Monti. All’artista contemporaneo non interessa la pura cognizione estetica. La ragione per cui dipinge o scolpisce è legata alla realtà in corrispondenza alla vita, al suo dramma, alla sua ricerca di assoluto. Pur nelle continue variazioni di stile e di intensità di motivazioni fra i vari artisti, tutti permangono in questa necessità di essere dentro la croce. E’ un continuo rivivere, cercandone le tracce nella realtà, la Via Crucis, dove la Croce diventa simbolo di quella verità che dà senso all’esistenza. Le varie opere evidenziano quanto il senso di appartenenza a Cristo, il sentirsi dentro la croce, siano la metafora dell’irriducibile marginalità dell’esistenza. Così quel volto del Crocifisso offuscato e reso irriconoscibile dal sudore e dal sangue diventa l’immagine stessa di tutte le offese, di tutte le ingiustizie di tutti i dolori e di tutte le lacrime che oscurano, rabbuiano il mondo. A deformare il sereno dolore dell’iconografia tradizionale si aggiunge nella coscienza dell’artista contemporaneo lo strazio dei rumori assordanti e dei frastuoni con cui la contemporaneità ci investe con i suoi annunci di benessere , consumo e smodato vitalismo. In questa nuova Babele, in cui la prima e unica legge è il profitto personale, l’artista contemporaneo, anche se non credente, ci mostra un Cristo crocefisso reso irriconoscibile da chi si ritiene credente ma che abita ugualmente e ugualmente agonizza nell’attuale disorientamento sociale. E’ bello che qualcuno abbia ancora occhi, mente e cuore per vederlo e mostrarcelo. Sulla Croce Gesù affronta il Grande Nulla, il Grande Silenzio, il totale abbandono nella Solitudine, nel dialogo estremo con il silenzioso luogo di Dio. L’artista oggi si pone in una situazione di interiore e profondo ascolto di questo “scandaloso” silenzio del Padre verso cui si alza il grido del Figlio (perché mi hai abbandonato?) e nello svuotamento (la kenosi paolina) la Croce diventa il luogo in cui appare la luce del divino: solo la sconfitta apre alla Resurrezione! Dopo le avanguardie del xx° secolo, le distorsioni, le amputazioni, le decontestualizzazioni delle crocifissioni di Picasso, Bacon, Sutherland, Guttuso, ecc… ancora rimandano al polittico di Grunewald, fondendo l’uomo e la Croce in un'unica visione evocativa del percorso mistico di San Giovanni della Croce: la necessità di attraversare una notte oscura. Gli artisti che hanno attraversato gli anni della seconda guerra mondiale non possono più rivolgere lo sguardo al Cristo disincarnato e bloccato nella sua fissità iconografica proposto dalla cultura cattolica. Guardano invece all’uomo sulla croce che patisce, si offre per amore e propone disperatamente al cuore dell’uomo contemporaneo una liberazione dal dolore e dalla disperazione per la malattia, la fame, la morte. Il Golgota resta, per l’artista oggi, ciò che era per Francis Bacon: il luogo della meditazione sul dolore del mondo. La carne di Cristo è la carne dell’Uomo nel suo senso più alto: la tensione alla Bellezza della Resurrezione che salva. Max Rothko, nella Rothko Chapel di Houston, nel Texas, si spinge, però, ai limiti della aniconicità perché la croce, come ogni allusione simbolica ai segni “religiosi”, è annullata. In queste opere di grande formato, nere come la notte, ci troviamo alla soglia del Buio, noi stessi crocifissi dalla coscienza dilacerata, senza più speranza. Al cospetto delle vaste superfici scure che non bloccano il nostro sguardo, i nostri sensi e la nostra anima si sentono misteriosamente attratti dallo splendore che emana dall’interno, evocazione di un imperscrutabile e misterioso altrove. Barnett Newmann propone, negli stessi anni Sessanta, le sue quattordici stazioni della via crucis come un dialogo con il vuoto, dimensione umana per un pianto umano in quanto ogni stazione è una trattenuta emozione di fronte al grido di invocazione di Gesù sulla croce: domanda alla quale non c’è risposta. L’Arte religiosa, sempre più consapevole del proprio ruolo nel mondo globalizzato, ha ormai abbandonato i facili pietismi devozionistici per orientarsi verso forme e linguaggi capaci di superare stereotipi e comunicare il senso del Sacro con maggiore autenticità e verità.
di Nino Portoghese e Annibale Vanetti
ARTISTI: Andrea Decani, Markus Daum, Luciano Puzzo, Jano Sicura, Annibale Vanetti
La mostra si presenta con la stessa complessità e con la stessa unità drammatica delle Cappelle dei Sacri Monti. All’artista contemporaneo non interessa la pura cognizione estetica. La ragione per cui dipinge o scolpisce è legata alla realtà in corrispondenza alla vita, al suo dramma, alla sua ricerca di assoluto. Pur nelle continue variazioni di stile e di intensità di motivazioni fra i vari artisti, tutti permangono in questa necessità di essere dentro la croce. E’ un continuo rivivere, cercandone le tracce nella realtà, la Via Crucis, dove la Croce diventa simbolo di quella verità che dà senso all’esistenza. Le varie opere evidenziano quanto il senso di appartenenza a Cristo, il sentirsi dentro la croce, siano la metafora dell’irriducibile marginalità dell’esistenza. Così quel volto del Crocifisso offuscato e reso irriconoscibile dal sudore e dal sangue diventa l’immagine stessa di tutte le offese, di tutte le ingiustizie di tutti i dolori e di tutte le lacrime che oscurano, rabbuiano il mondo. A deformare il sereno dolore dell’iconografia tradizionale si aggiunge nella coscienza dell’artista contemporaneo lo strazio dei rumori assordanti e dei frastuoni con cui la contemporaneità ci investe con i suoi annunci di benessere , consumo e smodato vitalismo. In questa nuova Babele, in cui la prima e unica legge è il profitto personale, l’artista contemporaneo, anche se non credente, ci mostra un Cristo crocefisso reso irriconoscibile da chi si ritiene credente ma che abita ugualmente e ugualmente agonizza nell’attuale disorientamento sociale. E’ bello che qualcuno abbia ancora occhi, mente e cuore per vederlo e mostrarcelo. Sulla Croce Gesù affronta il Grande Nulla, il Grande Silenzio, il totale abbandono nella Solitudine, nel dialogo estremo con il silenzioso luogo di Dio. L’artista oggi si pone in una situazione di interiore e profondo ascolto di questo “scandaloso” silenzio del Padre verso cui si alza il grido del Figlio (perché mi hai abbandonato?) e nello svuotamento (la kenosi paolina) la Croce diventa il luogo in cui appare la luce del divino: solo la sconfitta apre alla Resurrezione! Dopo le avanguardie del xx° secolo, le distorsioni, le amputazioni, le decontestualizzazioni delle crocifissioni di Picasso, Bacon, Sutherland, Guttuso, ecc… ancora rimandano al polittico di Grunewald, fondendo l’uomo e la Croce in un'unica visione evocativa del percorso mistico di San Giovanni della Croce: la necessità di attraversare una notte oscura. Gli artisti che hanno attraversato gli anni della seconda guerra mondiale non possono più rivolgere lo sguardo al Cristo disincarnato e bloccato nella sua fissità iconografica proposto dalla cultura cattolica. Guardano invece all’uomo sulla croce che patisce, si offre per amore e propone disperatamente al cuore dell’uomo contemporaneo una liberazione dal dolore e dalla disperazione per la malattia, la fame, la morte. Il Golgota resta, per l’artista oggi, ciò che era per Francis Bacon: il luogo della meditazione sul dolore del mondo. La carne di Cristo è la carne dell’Uomo nel suo senso più alto: la tensione alla Bellezza della Resurrezione che salva. Max Rothko, nella Rothko Chapel di Houston, nel Texas, si spinge, però, ai limiti della aniconicità perché la croce, come ogni allusione simbolica ai segni “religiosi”, è annullata. In queste opere di grande formato, nere come la notte, ci troviamo alla soglia del Buio, noi stessi crocifissi dalla coscienza dilacerata, senza più speranza. Al cospetto delle vaste superfici scure che non bloccano il nostro sguardo, i nostri sensi e la nostra anima si sentono misteriosamente attratti dallo splendore che emana dall’interno, evocazione di un imperscrutabile e misterioso altrove. Barnett Newmann propone, negli stessi anni Sessanta, le sue quattordici stazioni della via crucis come un dialogo con il vuoto, dimensione umana per un pianto umano in quanto ogni stazione è una trattenuta emozione di fronte al grido di invocazione di Gesù sulla croce: domanda alla quale non c’è risposta. L’Arte religiosa, sempre più consapevole del proprio ruolo nel mondo globalizzato, ha ormai abbandonato i facili pietismi devozionistici per orientarsi verso forme e linguaggi capaci di superare stereotipi e comunicare il senso del Sacro con maggiore autenticità e verità.
Luoghi
347 4935914
da martedì a venerdì 17-20, sabato e domenica 10-13 e 17-21