Giuseppe Stampone "Perché il Cielo è di tutti e la terra no?"
e ogni occhio, se vuole,si prende la Luna intera,
le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque,
in prosa o in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la Terra è tutta a pezzetti.
La filastrocca “Il cielo è di tutti” di Gianni Rodari ispira la mostra personale di Giuseppe Stampone negli spazi di THE POOL NYC a Milano
Perché il Cielo è di tutti e la terra no?, titolo ironico, pone l’accento su una visione del cielo, immaginato come spazio libero rispetto alla terra, abitata dall’uomo e per questo divisa in spazi privati. Infatti il cielo, che in maniera meno poetica viene chiamato spazio aereo, appartiene agli stati e da questi è gestito. Dominus soli est dominus usque ad sidera et usque ad inferos (il proprietario del suolo è proprietario fino agli inferi e fino alle stelle) recitava un brocardo di diritto romano, recepito in modo più mite dall'articolo 840 del Codice Civile.
A ben guardare, magari con un telescopio, ci si accorge che il cielo va anche al di là delle rotte aeree e che comprende le orbite dei satelliti occupate, nel senso della occupatio rei nullius (occupazione della cosa di nessuno: di nessuno o di tutti?) del diritto romano, da paesi ricchi a discapito di quelli più poveri. Questi ultimi non hanno le tecnologie per occuparle. Certamente presto non avranno più cielo disponibile.
Con questa mostra, Giuseppe Stampone rivoluziona il cielo, lo rigenera, ne crea uno nuovo, autonomo da costrizioni politiche, da confini, da regole: libera l’olio sulla gommapiuma, rincorre e lascia scorrere il blu, creatore, compone un firmamento nuovo e indipendente. Stampone dà dimensione, lunghezza, larghezza, densità, dà forma al desiderio di libertà dell’uomo.
L’artista ci mostra un altro cielo, lascia che sia possibile acquistare un po’ di quella libertà che vediamo quando guardiamo verso l’alto, consentendo allo spettatore di portarsene a casa un frammento.
La libertà dei grandi spazi, dei deserti che non sono solo quelli di sabbia ma anche di acqua, gli oceani, e di aria, il cielo.
Al cielo di Giuseppe Stampone, libero da canoni geopolitici, ci si può abbandonare senza chiedere permessi, protocolli, o autorizzazioni.
L’uomo per diritto è proprietario del cielo, ma senza che se ne accorga questo gli viene tolto. Grazie all’arte ci riappropriamo di un cielo che ci spetta, un'assenza di confini, mura, dogane, libertà assoluta, infinite possibilità.
Stampone sottolinea l’importanza del gesto performativo a olio, inteso come atto liberatorio che consente di riflettere sull’attuale questione della georeferenziazione spaziale. Se è vero che la terra tende a perdere le sue diversità, rischiamo che il cielo rifletta sempre di più la terra.
Come in ogni suo nuovo progetto, l’artista crea l’architettura dell’intelligenza, una piattaforma partecipativa, dove unisce mente, corpo e spazio, mente, corpo e network. In questo caso il suo network, come fa da anni, è formato da artisti a cui chiede una formalizzazione partecipativa da condividere. Per Stampone la pratica della partecipazione è una fase determinante della ricerca per creare e discutere di contenuti dove l’io di ogni singolo artista diventa Noi, ma dove il Noi non annulla l’identità del singolo e ogni artista condivide il proprio diario intimo. Per Stampone un network è un’area di interesse dove ci si riconosce e quindi si decide di pubblicare il proprio diario. In un’era globalizzata e omologata l’unicità di un’identità di un io diventa indispensabile per ricreare una cosmologia condivisa e unica nella sua rappresentazione.
Per Perché il Cielo è di tutti e la terra no? Giuseppe Stampone ha chiesto a Paola Angelini, Luigi Carboni, Fabrizio Cotognini, Matteo Fato, Ugo La Pietra, Maria Morgagni, Marco Neri, Paolo Parisi, Alfredo Pirri, Eugenio Tibaldi, Gian Maria Tosatti, dando coordinate spaziali (30x40 cm), di creare un cielo possibile.
Perché il Cielo è di tutti e la terra no?, titolo ironico, pone l’accento su una visione del cielo, immaginato come spazio libero rispetto alla terra, abitata dall’uomo e per questo divisa in spazi privati. Infatti il cielo, che in maniera meno poetica viene chiamato spazio aereo, appartiene agli stati e da questi è gestito. Dominus soli est dominus usque ad sidera et usque ad inferos (il proprietario del suolo è proprietario fino agli inferi e fino alle stelle) recitava un brocardo di diritto romano, recepito in modo più mite dall'articolo 840 del Codice Civile.
A ben guardare, magari con un telescopio, ci si accorge che il cielo va anche al di là delle rotte aeree e che comprende le orbite dei satelliti occupate, nel senso della occupatio rei nullius (occupazione della cosa di nessuno: di nessuno o di tutti?) del diritto romano, da paesi ricchi a discapito di quelli più poveri. Questi ultimi non hanno le tecnologie per occuparle. Certamente presto non avranno più cielo disponibile.
Con questa mostra, Giuseppe Stampone rivoluziona il cielo, lo rigenera, ne crea uno nuovo, autonomo da costrizioni politiche, da confini, da regole: libera l’olio sulla gommapiuma, rincorre e lascia scorrere il blu, creatore, compone un firmamento nuovo e indipendente. Stampone dà dimensione, lunghezza, larghezza, densità, dà forma al desiderio di libertà dell’uomo.
L’artista ci mostra un altro cielo, lascia che sia possibile acquistare un po’ di quella libertà che vediamo quando guardiamo verso l’alto, consentendo allo spettatore di portarsene a casa un frammento.
La libertà dei grandi spazi, dei deserti che non sono solo quelli di sabbia ma anche di acqua, gli oceani, e di aria, il cielo.
Al cielo di Giuseppe Stampone, libero da canoni geopolitici, ci si può abbandonare senza chiedere permessi, protocolli, o autorizzazioni.
L’uomo per diritto è proprietario del cielo, ma senza che se ne accorga questo gli viene tolto. Grazie all’arte ci riappropriamo di un cielo che ci spetta, un'assenza di confini, mura, dogane, libertà assoluta, infinite possibilità.
Stampone sottolinea l’importanza del gesto performativo a olio, inteso come atto liberatorio che consente di riflettere sull’attuale questione della georeferenziazione spaziale. Se è vero che la terra tende a perdere le sue diversità, rischiamo che il cielo rifletta sempre di più la terra.
Come in ogni suo nuovo progetto, l’artista crea l’architettura dell’intelligenza, una piattaforma partecipativa, dove unisce mente, corpo e spazio, mente, corpo e network. In questo caso il suo network, come fa da anni, è formato da artisti a cui chiede una formalizzazione partecipativa da condividere. Per Stampone la pratica della partecipazione è una fase determinante della ricerca per creare e discutere di contenuti dove l’io di ogni singolo artista diventa Noi, ma dove il Noi non annulla l’identità del singolo e ogni artista condivide il proprio diario intimo. Per Stampone un network è un’area di interesse dove ci si riconosce e quindi si decide di pubblicare il proprio diario. In un’era globalizzata e omologata l’unicità di un’identità di un io diventa indispensabile per ricreare una cosmologia condivisa e unica nella sua rappresentazione.
Per Perché il Cielo è di tutti e la terra no? Giuseppe Stampone ha chiesto a Paola Angelini, Luigi Carboni, Fabrizio Cotognini, Matteo Fato, Ugo La Pietra, Maria Morgagni, Marco Neri, Paolo Parisi, Alfredo Pirri, Eugenio Tibaldi, Gian Maria Tosatti, dando coordinate spaziali (30x40 cm), di creare un cielo possibile.
Luoghi
http://www.thepoolnewyorkcity.com +39 3356251723
Palazzo Fagnani - • Orari: Martedí-Venerdí 11-13 / 15-19 Sabato 15-19 e su appuntamento