Giuseppe Modica. Melanconia e notte
A cura di: Francesco Gallo Mazzeo - Testo di Diego Mormorio
“Tutto si conduce ad unità – afferma Gallo Mazzeo - [...] nei modi più imprevisti ed imprevedibili è diventare scoperta di sé, del sé nascosto che in tanto errare e peregrinare non si è mai allontanato da sé stesso, dal proprio sogno, perimetro e area di una grande avventura, in cui ogni nome pronuncia un nome, ogni volto cerca un volto e tutti insieme recitano Unum.”
Melanconia e notte
La vastità ci scruta, mentre siamo un granello di polvere caduto su un chicco di riso – mortali dentro l’immortalità del tutto. Una vastità senza misura, che nel momento stesso in cui ci fa sentire il nostro limite, ci lascia avvertire la potenza del nostro volo: del nostro sforzo di sollevarci sopra la materialità dell’essere e delle cose circostanti e, fra esse, anche le singole stelle e le galassie. Un giorno, forse, quelli che verranno sapranno per via scientifica quello che Leopardi sapeva per via poetica (che poi è la via da cui si diramano tutte le strade dell’umano vivere). “Che la materia pensi è un fatto” diceva il poeta nello Zibaldone (4288). Un fatto che alla moltitudine sembra un paradosso, così come le sembra paradossale un’altra verità che ci viene dai maestri zen: le piccole cose generano le grandi. Sono, ad esempio, dei minuscoli granelli di polvere e di carbonio che formano il pulviscolo atmosferico, che colpito dai raggi del sole raggi del sole li diffondono (così come fanno gli ombrelli che usano i fotografi nei loro studi) in ogni direzione. Senza questo pulviscolo vedremmo solo le cose che direttamente vengono colpite dai raggi solari, mentre lo spazio vuoto tra un oggetto e l’altro resterebbe buio. Alzando gli occhi al cielo vedremmo solo il disco solare e le stelle brillare in un cielo nero.
Anche a questo viene da pensare guardando Melanconia e notte di Giuseppe Modica – pittore fra i più pittori, e fra i pittori nel numero di quelli più profondamente calati nel solco dell’Occidente – della geometria e del raziocinio, così com’è del tutto evidente anche in quest’opera, la cui struttura è una sorta di trionfo della prospettiva e della luce. Sapientemente, Modica guarda il cielo con la nuca poggiata per terra, al centro dello spazio rappresentato, così da avere un chiaro punto di collegamento tra il cielo aperto e i segni del nostro abitare. Più prossimi a noi, sono infatti tre edifici, da due dei quali si levano le antenne della televisione, con il loro richiamo alla nostra contemporaneità. Una serie di nuvole conferiscono profondità materica alla scena, e richiamano attenzione sul cielo puntellato di stelle, nel quale la luna funge quasi da punto di fuga, o, più propriamente, in questo caso, di attrazione. Dürer è già nel titolo, ma anche nello spazio rappresentato: nelle linee che uniscono sei stelle appena sopra la luna, sulla sinistra, che richiamano alla mente il poliedro di Melancolia I.
Insomma, è uno dei quadri più felici di Modica. Un’opera che lascia vedere insieme il passato, il presente e l’incommensurabile, restando dentro il fascino della storia della pittura.
Diego Mormorio
Melanconia e notte
La vastità ci scruta, mentre siamo un granello di polvere caduto su un chicco di riso – mortali dentro l’immortalità del tutto. Una vastità senza misura, che nel momento stesso in cui ci fa sentire il nostro limite, ci lascia avvertire la potenza del nostro volo: del nostro sforzo di sollevarci sopra la materialità dell’essere e delle cose circostanti e, fra esse, anche le singole stelle e le galassie. Un giorno, forse, quelli che verranno sapranno per via scientifica quello che Leopardi sapeva per via poetica (che poi è la via da cui si diramano tutte le strade dell’umano vivere). “Che la materia pensi è un fatto” diceva il poeta nello Zibaldone (4288). Un fatto che alla moltitudine sembra un paradosso, così come le sembra paradossale un’altra verità che ci viene dai maestri zen: le piccole cose generano le grandi. Sono, ad esempio, dei minuscoli granelli di polvere e di carbonio che formano il pulviscolo atmosferico, che colpito dai raggi del sole raggi del sole li diffondono (così come fanno gli ombrelli che usano i fotografi nei loro studi) in ogni direzione. Senza questo pulviscolo vedremmo solo le cose che direttamente vengono colpite dai raggi solari, mentre lo spazio vuoto tra un oggetto e l’altro resterebbe buio. Alzando gli occhi al cielo vedremmo solo il disco solare e le stelle brillare in un cielo nero.
Anche a questo viene da pensare guardando Melanconia e notte di Giuseppe Modica – pittore fra i più pittori, e fra i pittori nel numero di quelli più profondamente calati nel solco dell’Occidente – della geometria e del raziocinio, così com’è del tutto evidente anche in quest’opera, la cui struttura è una sorta di trionfo della prospettiva e della luce. Sapientemente, Modica guarda il cielo con la nuca poggiata per terra, al centro dello spazio rappresentato, così da avere un chiaro punto di collegamento tra il cielo aperto e i segni del nostro abitare. Più prossimi a noi, sono infatti tre edifici, da due dei quali si levano le antenne della televisione, con il loro richiamo alla nostra contemporaneità. Una serie di nuvole conferiscono profondità materica alla scena, e richiamano attenzione sul cielo puntellato di stelle, nel quale la luna funge quasi da punto di fuga, o, più propriamente, in questo caso, di attrazione. Dürer è già nel titolo, ma anche nello spazio rappresentato: nelle linee che uniscono sei stelle appena sopra la luna, sulla sinistra, che richiamano alla mente il poliedro di Melancolia I.
Insomma, è uno dei quadri più felici di Modica. Un’opera che lascia vedere insieme il passato, il presente e l’incommensurabile, restando dentro il fascino della storia della pittura.
Diego Mormorio
Luoghi
www.bibliothe.net 39 066781427
Orario apertura galleria dal lunedì al sabato dalle 11 alle 23