Giuliana Traverso. VIrAGGI, cromatismi dal bianco e nero
A cura di: Arnaldo Pavesi testo di Divo Gori
“La bellezza non è una qualità delle cose stesse,
essa esiste soltanto nella mente che le contempla.”
La matrice delle fotografie di Giuliana Traverso è incastonata in questa citazione di David Hume. Saper riconoscere la bellezza di un dettaglio in una discarica e narrarla con quieta poesia, non è alla portata di tutti. E’ un dono raro che, con un diapason più esteso e armonico, le permette di rappresentare e di interpretare. Scatti istintivi percepiti sotto pelle, come rivelazione di un universo alternativo. Analizzati a posteriori, una volta stampati ed elaborati con viraggi dosati, mettono in evidenza la singolarità della sua percezione, intuitiva prima che visiva.
Arnaldo Pavesi
Testo di Divo Gori
C’è un preciso, drammatico momento in corrispondenza del quale l’artista cessa di essere tale, anche se ha raggiunto risultati ammirevoli: quando non avverte più l’impulso all’esplorazione e comincia a copiare se stesso, magari affinando un solo espediente.
Non così Giuliana Traverso, curiosa donna entro il cui mite guscio scattano improvvise, sorprendenti esasperazioni. Non so come, e non oso avventurarmi nel misterioso processo che produce l’opera: ma la curvatura tragica che oggetti comuni vanno acquistando al di là del suo obiettivo è il segno più avvincente di una maturità progressiva che si è lasciata alle spalle ogni impotenza, ogni stupefazione limitativa.
Un nuovo percorso? Uno scatto in avanti, direi: ancora una volta l’immagine (e non è sorpresa da poco) penetra la materia violandone il significato segreto. Questo è il punto di coerenza. E se la pagina è semplice la stesura diventa, argutamente, ancora più impegnativa.
C’è un gusto spettacolare ridotto però all’osso, asciutto, essenziale.
Lo dimostrano queste foto con il loro impatto non sull’occhio dell’esperto ma sul cuore del profano. Sono foto di “cose” eppure ogni cosa (ecco il coerente territorio, mai abbandonato) è un sipario aperto su una storia dell’uomo.
Il referente, l’ingrediente primario, è il sentimento, una “qualità”, cioè che invano inseguiranno i più raffinati computer. La tecnica è mezzo, non fine. Ecco perché ci andrei piano con il fastidio dell’incoerenza: potrebbe essere caso mai difetto di lettura, non di espressione.
Comunque, a costo di espormi (forse per consuetudine con il modo di essere della persona) io trovo che tutto ciò fa parte di un unico discorso. Se tutto ciò innesca la stessa catena emotiva di sempre e ancora più profondamente mi sollecita; se tutto ciò rinnova la mia attenzione e richiama ancora una volta il mio sguardo appena distolto, ed ogni volta avverto, “sento” una cosa in più sulla stessa corda, allora vuol dire che questa è “comunicazione”. Resa con lo stesso alfabeto. A tanto non riescono, assai spesso, tante sofisticatissime e celebrate immagini. Povertà del ricettore, si dirà. E se fosse sperimentalismo freddo? Se dipendesse dall’assenza di un qualsiasi apporto di sentimento, nucleo imprescindibile di ogni fare arte, anche fotografica?
Io qui mi ritrovo. I tecnici mi spiegano che questi sono “viraggi” , bianco e nero portato al colore attraverso processi manipolatori. Ma se il risultato d’arrivo è stato visto in partenza, con il limite e l’effetto dell’ultimo tocco, viraggio o no poco importa.
essa esiste soltanto nella mente che le contempla.”
La matrice delle fotografie di Giuliana Traverso è incastonata in questa citazione di David Hume. Saper riconoscere la bellezza di un dettaglio in una discarica e narrarla con quieta poesia, non è alla portata di tutti. E’ un dono raro che, con un diapason più esteso e armonico, le permette di rappresentare e di interpretare. Scatti istintivi percepiti sotto pelle, come rivelazione di un universo alternativo. Analizzati a posteriori, una volta stampati ed elaborati con viraggi dosati, mettono in evidenza la singolarità della sua percezione, intuitiva prima che visiva.
Arnaldo Pavesi
Testo di Divo Gori
C’è un preciso, drammatico momento in corrispondenza del quale l’artista cessa di essere tale, anche se ha raggiunto risultati ammirevoli: quando non avverte più l’impulso all’esplorazione e comincia a copiare se stesso, magari affinando un solo espediente.
Non così Giuliana Traverso, curiosa donna entro il cui mite guscio scattano improvvise, sorprendenti esasperazioni. Non so come, e non oso avventurarmi nel misterioso processo che produce l’opera: ma la curvatura tragica che oggetti comuni vanno acquistando al di là del suo obiettivo è il segno più avvincente di una maturità progressiva che si è lasciata alle spalle ogni impotenza, ogni stupefazione limitativa.
Un nuovo percorso? Uno scatto in avanti, direi: ancora una volta l’immagine (e non è sorpresa da poco) penetra la materia violandone il significato segreto. Questo è il punto di coerenza. E se la pagina è semplice la stesura diventa, argutamente, ancora più impegnativa.
C’è un gusto spettacolare ridotto però all’osso, asciutto, essenziale.
Lo dimostrano queste foto con il loro impatto non sull’occhio dell’esperto ma sul cuore del profano. Sono foto di “cose” eppure ogni cosa (ecco il coerente territorio, mai abbandonato) è un sipario aperto su una storia dell’uomo.
Il referente, l’ingrediente primario, è il sentimento, una “qualità”, cioè che invano inseguiranno i più raffinati computer. La tecnica è mezzo, non fine. Ecco perché ci andrei piano con il fastidio dell’incoerenza: potrebbe essere caso mai difetto di lettura, non di espressione.
Comunque, a costo di espormi (forse per consuetudine con il modo di essere della persona) io trovo che tutto ciò fa parte di un unico discorso. Se tutto ciò innesca la stessa catena emotiva di sempre e ancora più profondamente mi sollecita; se tutto ciò rinnova la mia attenzione e richiama ancora una volta il mio sguardo appena distolto, ed ogni volta avverto, “sento” una cosa in più sulla stessa corda, allora vuol dire che questa è “comunicazione”. Resa con lo stesso alfabeto. A tanto non riescono, assai spesso, tante sofisticatissime e celebrate immagini. Povertà del ricettore, si dirà. E se fosse sperimentalismo freddo? Se dipendesse dall’assenza di un qualsiasi apporto di sentimento, nucleo imprescindibile di ogni fare arte, anche fotografica?
Io qui mi ritrovo. I tecnici mi spiegano che questi sono “viraggi” , bianco e nero portato al colore attraverso processi manipolatori. Ma se il risultato d’arrivo è stato visto in partenza, con il limite e l’effetto dell’ultimo tocco, viraggio o no poco importa.
Luoghi
www.pavesicontemporart.com 02 87398953
orari durante le esposizioni: martedì - sabato 10-13 / 15-19