Giovanni Campus "Tempo in processo"
A cura di: Alberto Zanchetta
Ogni artista dovrebbe lasciarsi pervadere da un tempo circolare anziché lineare, un tempo che non sia più soltanto sincronico o semplicemente diacronico. Ossia un "tempo totale" che permetta di riscoprire e reinterpretare il passato radicandolo - e magari radicalizzandolo - nel presente.
Nel caso di Giovanni Campus [Olbia, 1929] è un Tempo in processo, sempre variabile, progressivo e aggregativo; e così le sue opere, che sono "processi segnici" e "figurali spezzati" scanditi da ritmi e pause, armonie e dissonanze. Ciò è dovuto dal fatto che Campus dispone i segni tenendo conto delle permutazioni oltre che del loro effetto perturbante La propriocezione, termine ricorrente nell'arte degli ultimi anni, individua una consapevolezza di sé, del proprio corpo, del proprio apparato sensoriale in relazione e in funzione di un dato spazio, è quindi fondamentale essere hic et nunc, consapevoli a se stessi di fronte all'arte. Come di consueto, Campus si pone in dialettica con gli spazi espositivi, motivo per il quale le sue opere esistono nel momento stesso in cui sono effettivamente situate. Più precisamente: lui "abita" la mostra, cercando non soltanto di dare luogo a una situazione ma di essere luogo egli stesso.
Nel corso dei decenni, questi suoi "percorsi di determinazione" - l'artista li chiamerebbe "formulazioni indicative" - lo hanno condotto a rompere [con] la tradizionale [com]posizione dell'opera. Egli disarticola infatti la forma per riarticolare lo spazio, il quale deve a derire a una dimensione temporale che si estrinseca in sequenze ed intervalli.
Campus persegue una logica modulare che non veicola un significato bensì una specificità (ogni materiale concorre a individuare il progetto di uno "spazio segnico continuo"). Lo si evince scorrendo lo sguardo dagli Interrelazionali continui del 1978, realizzati con corde e legni, in direzione delle opere degli ultimi dieci anni, che si ricollegano al concetto di Tempo in processo. Particolarmente significative sono due serie di opere su carta, la prima costituita da quindici tavole lavorate con la china e il pennino a intessere densi reticoli, la seconda composta da tredici tavole su carta Canson in cui gli acrilici e la grafite ripropongono le modularità delle sue tele/tavole sagomate
Premesso che i l nostro rapporto con la realtà è equiparabile a un déjà-vu, a qual-cosa che si conosce o che si è già visto (ma che può - ancora, e sempre - essere osservato meglio), Campus guarda in profondità, e in prospettiva a ciò che può ancora accadere. In virtù di ciò le sue opere cambiano a seconda dei punti di vista. Quelle esposte al MAC di Lissone invitano lo spettatore a un esercizio di concentrazione, e non solo di contemplazione, un esercizio nient'affatto scontato, tanto meno immediato, perché incentrato su i "rapporti", sulle "misure " e sulle "connessioni".
Nel caso di Giovanni Campus [Olbia, 1929] è un Tempo in processo, sempre variabile, progressivo e aggregativo; e così le sue opere, che sono "processi segnici" e "figurali spezzati" scanditi da ritmi e pause, armonie e dissonanze. Ciò è dovuto dal fatto che Campus dispone i segni tenendo conto delle permutazioni oltre che del loro effetto perturbante La propriocezione, termine ricorrente nell'arte degli ultimi anni, individua una consapevolezza di sé, del proprio corpo, del proprio apparato sensoriale in relazione e in funzione di un dato spazio, è quindi fondamentale essere hic et nunc, consapevoli a se stessi di fronte all'arte. Come di consueto, Campus si pone in dialettica con gli spazi espositivi, motivo per il quale le sue opere esistono nel momento stesso in cui sono effettivamente situate. Più precisamente: lui "abita" la mostra, cercando non soltanto di dare luogo a una situazione ma di essere luogo egli stesso.
Nel corso dei decenni, questi suoi "percorsi di determinazione" - l'artista li chiamerebbe "formulazioni indicative" - lo hanno condotto a rompere [con] la tradizionale [com]posizione dell'opera. Egli disarticola infatti la forma per riarticolare lo spazio, il quale deve a derire a una dimensione temporale che si estrinseca in sequenze ed intervalli.
Campus persegue una logica modulare che non veicola un significato bensì una specificità (ogni materiale concorre a individuare il progetto di uno "spazio segnico continuo"). Lo si evince scorrendo lo sguardo dagli Interrelazionali continui del 1978, realizzati con corde e legni, in direzione delle opere degli ultimi dieci anni, che si ricollegano al concetto di Tempo in processo. Particolarmente significative sono due serie di opere su carta, la prima costituita da quindici tavole lavorate con la china e il pennino a intessere densi reticoli, la seconda composta da tredici tavole su carta Canson in cui gli acrilici e la grafite ripropongono le modularità delle sue tele/tavole sagomate
Premesso che i l nostro rapporto con la realtà è equiparabile a un déjà-vu, a qual-cosa che si conosce o che si è già visto (ma che può - ancora, e sempre - essere osservato meglio), Campus guarda in profondità, e in prospettiva a ciò che può ancora accadere. In virtù di ciò le sue opere cambiano a seconda dei punti di vista. Quelle esposte al MAC di Lissone invitano lo spettatore a un esercizio di concentrazione, e non solo di contemplazione, un esercizio nient'affatto scontato, tanto meno immediato, perché incentrato su i "rapporti", sulle "misure " e sulle "connessioni".
Luoghi
www.comune.lissone.mi.it 39 0392145174 +39 039461523