Franco Vaccari. Rumori Telepatici
Rumori telepatici è il titolo della prima personale di Franco Vaccari a Napoli, nell’ambito di Progetto XXI, promosso dalla Fondazione Donnaregina per la arti contemporanee in collaborazione con la Fondazione Morra Greco. Nella mostra la manifestazione del segno dell’artista avviene attraverso l’esposizione di lavori che si configurano come strumenti di evocazione, nella raffigurazione di una ricerca che si afferma e si definisce attraverso l’incontro e la contingenza. L’opera, a cui viene volutamente negato lo statuto di oggetto estetico, diviene lo strumento con cui suscitare l’attenzione partecipata dello spettatore e simultaneamente spostarla verso l’impalpabile, ciò che è meno strettamente connesso ad una percezione decifrabile ed immediata di un univoco concetto o espressione. La percezione si sposta dunque sul piano del non totalmente determinato, quel luccichio che è visione appannata e rumore soffuso, come quando si è pervasi dalla strana sensazione del non sapere se ciò che si è visto o udito è reale o immaginato, personale o condivisoLa mostra si articola attraverso l’esposizione di lavori storici ma inediti, come le strip di foto tratte da Photomatic d’Italia, 1973-1974, la creazione di ambienti al limite tra lo spazio privato e pubblico, la proiezione di video come I Cani lenti, 1971 e si completa con l’installazione di un faro da richiamo che abbaglia il raggio di cielo sovrastante Palazzo Caracciolo di Avellino.
Nella seconda metà degli anni ’60, Franco Vaccari ha spinto l’uso della tecnologia ad un automatismo non ancora realizzato, lasciando il mezzo fotografico libero di operare senza il filtro dell’autorialità e proponendo allo spettatore di comporre la sua opera. Alla Biennale di Venezia del 1972, nella sua sala personale, una cabina per fototessere invitava il visitatore a farsi immortalare automaticamente e lasciare la traccia istantanea del suo passaggio sulla parete attigua. Attaccare a muro la propria strip era come twittare, pubblicare e linkare la propria foto con la speranza di ricevere più like possibili, quando però la rete ancora non esisteva. Facendosi teorico del selfie con 40 anni di anticipo, Vaccari propone la dissoluzione dei condizionamenti espressivi legati alla presenza dell’artista dietro la macchina, permette al soggetto ritratto di instaurare un rapporto privato con il mezzo e anticipa un fenomeno di costume che è piena espressione di un epoca, la nostra, basata sulla diffusione pubblica della propria immagine nella costante condivisione dell’esperienza privata. Le strip tratte da Photomatic d'Italia, 1973-1974, veri e propri selfie dei napoletani, salernitani ed avellinesi dell’epoca con i loro sguardi, gesti, abiti e tagli di capelli costituiscono un documento di costume vivissimo che lascia spazio alla creazione di un legame di senso che sgorga dall’emozione dell’osservatore e l’entusiasmo del soggetto autoritratto.
L’indagine dell’Inconscio tecnologico nell’Esposizione in tempo reale, lascia spazio alla riflessione sul rapporto tra spazio pubblico e privato quando Vaccari realizza l’irruzione della strada nello spazio espositivo e contestualmente il ribaltamento dello stesso concetto. La volontà è quella di inviare un messaggio chiaro: quello di un arte che diviene tale perchè basata sull’interazione con l’altro e sul rischio rappresentato da quello scambio. Lo spazio espositivo deve trasformarsi in un luogo di condivisione ed incontro, di una partecipazione che non lasci allo spettatore la funzione di mero fruitore ma quella di creatore di significati. L’atto partecipativo è ulteriormente manifestato con l’esposizione di una serie di opere da decifrare tramite il proprio smartphone che innescano meccanismi di significanza tramite l’accostamento dell’incredibilmente contemporaneo al riflesso della storia.
Vaccari attraversa la Fondazione lasciando una traccia indelebile del proprio passaggio attraverso il totale coinvolgimento di sè in un’esposizione che può configurarsi come la raccolta personale dell’esperienza e la successiva emanazione della stessa. Nel tentativo di opporsi all’oblio tra autoscatti e dimensioni impalpabili, s’intrufola lo spettatore e la sensazione dell’udito, del visto, dell’esperito, dello svelato e dell’interiorizzato che diviene suono, immagine, racconto da cui farsi, telepaticamente, compenetrare.
Nella seconda metà degli anni ’60, Franco Vaccari ha spinto l’uso della tecnologia ad un automatismo non ancora realizzato, lasciando il mezzo fotografico libero di operare senza il filtro dell’autorialità e proponendo allo spettatore di comporre la sua opera. Alla Biennale di Venezia del 1972, nella sua sala personale, una cabina per fototessere invitava il visitatore a farsi immortalare automaticamente e lasciare la traccia istantanea del suo passaggio sulla parete attigua. Attaccare a muro la propria strip era come twittare, pubblicare e linkare la propria foto con la speranza di ricevere più like possibili, quando però la rete ancora non esisteva. Facendosi teorico del selfie con 40 anni di anticipo, Vaccari propone la dissoluzione dei condizionamenti espressivi legati alla presenza dell’artista dietro la macchina, permette al soggetto ritratto di instaurare un rapporto privato con il mezzo e anticipa un fenomeno di costume che è piena espressione di un epoca, la nostra, basata sulla diffusione pubblica della propria immagine nella costante condivisione dell’esperienza privata. Le strip tratte da Photomatic d'Italia, 1973-1974, veri e propri selfie dei napoletani, salernitani ed avellinesi dell’epoca con i loro sguardi, gesti, abiti e tagli di capelli costituiscono un documento di costume vivissimo che lascia spazio alla creazione di un legame di senso che sgorga dall’emozione dell’osservatore e l’entusiasmo del soggetto autoritratto.
L’indagine dell’Inconscio tecnologico nell’Esposizione in tempo reale, lascia spazio alla riflessione sul rapporto tra spazio pubblico e privato quando Vaccari realizza l’irruzione della strada nello spazio espositivo e contestualmente il ribaltamento dello stesso concetto. La volontà è quella di inviare un messaggio chiaro: quello di un arte che diviene tale perchè basata sull’interazione con l’altro e sul rischio rappresentato da quello scambio. Lo spazio espositivo deve trasformarsi in un luogo di condivisione ed incontro, di una partecipazione che non lasci allo spettatore la funzione di mero fruitore ma quella di creatore di significati. L’atto partecipativo è ulteriormente manifestato con l’esposizione di una serie di opere da decifrare tramite il proprio smartphone che innescano meccanismi di significanza tramite l’accostamento dell’incredibilmente contemporaneo al riflesso della storia.
Vaccari attraversa la Fondazione lasciando una traccia indelebile del proprio passaggio attraverso il totale coinvolgimento di sè in un’esposizione che può configurarsi come la raccolta personale dell’esperienza e la successiva emanazione della stessa. Nel tentativo di opporsi all’oblio tra autoscatti e dimensioni impalpabili, s’intrufola lo spettatore e la sensazione dell’udito, del visto, dell’esperito, dello svelato e dell’interiorizzato che diviene suono, immagine, racconto da cui farsi, telepaticamente, compenetrare.
Luoghi
http://www.fondazionemorragreco.com 081210690
orari: dal lunedi' al sabato dalle 10 alle 14 e dalle 15 alle 19 - martedì ore 10/14 - domenica chiuso