Francesco Pedrini. Nebula
A cura di: Alessandra Pioselli
La Galleria Milano ha il piacere di presentare la mostra personale di Francesco Pedrini, Nebula. L’artista ha realizzato, per l’occasione, un corpus di nuove opere - disegni, fotografie e immagini proiettate di paesaggi atmosferici e di atti di osservazione e di ascolto del cielo – per riflettere su un motivo antico, lo sguardo dell’uomo al cospetto dell’infinito.Nebula, nebbia, nuvola e nebulosa: i sostantivi indicano una materia che vela le cose, viaggia sospesa o arriva a noi in forma di luce quando ormai non esiste più. La vita delle nebulose dura un attimo nell’esistenza dell’universo. Le Nebulae (Nebulae, 2015-16, quattro disegni più un trittico a grafite, carboncino, pigmenti su carta Kozo) sono disegnate sulla base di fotografie della NASA. L’atto di riprodurre con matite e polveri un istante forse evaporato milioni di anni prima, la durata effimera di una materia fatta di luce e di gas, è concepito come atto (impossibile) di verifica, un viaggio a ritroso nel tempo.
Pedrini considera il cielo un paesaggio da osservare. Dalle galassie, lo sguardo si abbassa sulla linea dell’orizzonte, dallo spazio uranico si volge al terrestre. I disegni dei tornado (Tornado, 2016, due disegni a grafite, carboncino, pigmenti su carta Kozo) derivano da fotografie astronomiche e colgono la maestosità sublime del fenomeno. Sono ancora un tentativo di catturare la durata temporale di un corpo fugace, la cui essenza è aria, pulviscolo, vento.
Durante la Prima Guerra Mondiale, quando non era stato ancora inventato il radar, erano stati messi a punto alcuni oggetti sperimentali nel tentativo di identificare le rotte degli aerei. Pedrini ne ha ricostruito uno e nelle tre fotografie intitolate Ascolto (2016) lo vediamo intento ad utilizzarlo in un paesaggio nebbioso che offusca la visuale. Questo dispositivo di ascolto sembra paradossalmente un quadro, fatto di tela bianca. Decontestualizzato dall’uso bellico, questo “quadro”, che nulla rappresenta, diventa mezzo di un atto performativo di confronto poetico con il paesaggio.
La tensione verso l’infinito è rimandata dalle immagini scattate a più di tremila metri sulle Ande cilene, in prossimità di un osservatorio astronomico (Laser, 2016, tre diapositive e proiettori mono slide). Il fascio arancione di un laser, emesso per simulare il comportamento di una stella, sonda la volta celeste notturna verso un punto in una lontananza siderale. Nelle fotografie appare come un segno astratto. Riporta nuovamente a una verifica impraticabile.
L’impossibilità dello sguardo e della visione è il punto di partenza di Francesco Pedrini per aprire una possibilità conoscitiva che permetta di accedere all’essenza delle cose. Solo ascoltando vediamo davvero e, se sappiamo ascoltare, non ci è negato nemmeno l’invisibile.
Francesco Pedrini (Bergamo, 1973). Diplomato all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Laurea magistrale allo IUAV di Venezia. Ha esposto in mostre personali alla Galleria Martano di Torino, alla Facultad de Derecho de la Universidad di Buenos Aires, al Tirana Institute for Contemporary Art e in collettive in numerose gallerie e istituzioni tra cui alla Biennale di disegno di Rimini, alla Fondzione Buziol di Venezia, al Merano Arts Festival, al Tophane Culture Center di Istanbul.
Luoghi
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