Fernanda Fedi. L’Idea di Assenza 1979-1983
A cura di: Testo di Amedeo Anelli
Intervista di Patrizia Serra a Fernanda FediLe opere esposte in questa mostra ci illustrano un periodo della ricerca di Fernanda Fedi che da questo momento fondamentale trae la linfa per la continua evoluzione del suo linguaggio .Scrive Amedeo Anelli nel suo saggio:
"Agli inizi degli anni Ottanta, Fernanda Fedi, dopo il periodo “strutturale” in senso stretto, si trova a “modulare” verso poetiche di segno, di unità corporea fra pensabile e percepibile e di rapporto fra la parola, lo spazio, il vuoto e la scrittura.
L’unità propria dell’immagine strutturale, da una parte, dimensionalmente si demoltiplica, divenendo sempre più piccola o scomponendosi nei suoi elementi in segni (non programmati e saturanti, da alfabeto della mente come nella Dadamaino, in una specie di inconscio razionale); dall’altra, come dopo un’implosione, esplode in una spazialità complessa, in sequenze sotto lo spirito di ordinamento, di simmetria e numero, ma accampando in uno spazio tramato dell’infinità matematica e in un bianco d’origine, che allude ad un silenzio corporeo attivo, a ciò che rende di nuovo possibile il segno e l’immagine, nel passaggio dalla tecnica interna a quella esterna, e la parola in poesia.
Questo ritorno alle formanti corporee, nei delicati processi di tecnica interna, non solo mentale, ma corporea, porta la Fedi dall’unità spaziale costruttiva di forma/colore/luce, fra esprit de geomètriè ed esprit de finesse, ad una completa unità fenomenologica di pensiero nella percezione e di percezione nel pensiero, di passione pensata e di pensiero appassionato, ed in una dimensione estetica e finanche contemplativa, del senso del poetico, ossia del fare artistico."
Fernanda Fedi risponde così nell'intervista
Verso la fine degli anni Settanta ho percepito di aver superato l’idea della Struttura autosignificante ed ho sentito la necessità di affrontare il problema dello spazio partendo da un concetto Zen (Il NULLA come TUTTO)
Ho iniziato a realizzare opere più concettuali cancellando la struttura intera e salvaguardandone solo un piccolo frammento in uno spazio bianco.
In seguito mi sono spinta oltre distruggendo anche il frammento e lavorando unicamente con piccoli segni, quasi impercettibili, di bianco su bianco, dove il concetto SPAZIO si dilatava in forma sensibile attraverso quadrettature bianche che ne fissavano i limiti. Mi piace ricordare un bell’articolo apparso in un quotidiano olandese nel 1982 di John Parmijei (a seguito di una personale ad Enschede presentata dall’indimenticabile Rossana Bossaglia) ‘La ricerca dell’infinito nel vuoto’ in cui sottolineava come il lavoro desse un’impressione molto filosofica e nel contempo un’impressione di una scienza esatta, invitando lo spettatore ad andare ‘oltre’ e lo
scritto introduttivo ad una mia mostra a Bologna di Bruno D’Amore in cui poneva in evidenza come le relazioni spaziali tra gli elementi in gioco fossero dichiarate esplicitamente dal ricorrere della parola–oggetto ‘SPACE’
L’unità propria dell’immagine strutturale, da una parte, dimensionalmente si demoltiplica, divenendo sempre più piccola o scomponendosi nei suoi elementi in segni (non programmati e saturanti, da alfabeto della mente come nella Dadamaino, in una specie di inconscio razionale); dall’altra, come dopo un’implosione, esplode in una spazialità complessa, in sequenze sotto lo spirito di ordinamento, di simmetria e numero, ma accampando in uno spazio tramato dell’infinità matematica e in un bianco d’origine, che allude ad un silenzio corporeo attivo, a ciò che rende di nuovo possibile il segno e l’immagine, nel passaggio dalla tecnica interna a quella esterna, e la parola in poesia.
Questo ritorno alle formanti corporee, nei delicati processi di tecnica interna, non solo mentale, ma corporea, porta la Fedi dall’unità spaziale costruttiva di forma/colore/luce, fra esprit de geomètriè ed esprit de finesse, ad una completa unità fenomenologica di pensiero nella percezione e di percezione nel pensiero, di passione pensata e di pensiero appassionato, ed in una dimensione estetica e finanche contemplativa, del senso del poetico, ossia del fare artistico."
Fernanda Fedi risponde così nell'intervista
Verso la fine degli anni Settanta ho percepito di aver superato l’idea della Struttura autosignificante ed ho sentito la necessità di affrontare il problema dello spazio partendo da un concetto Zen (Il NULLA come TUTTO)
Ho iniziato a realizzare opere più concettuali cancellando la struttura intera e salvaguardandone solo un piccolo frammento in uno spazio bianco.
In seguito mi sono spinta oltre distruggendo anche il frammento e lavorando unicamente con piccoli segni, quasi impercettibili, di bianco su bianco, dove il concetto SPAZIO si dilatava in forma sensibile attraverso quadrettature bianche che ne fissavano i limiti. Mi piace ricordare un bell’articolo apparso in un quotidiano olandese nel 1982 di John Parmijei (a seguito di una personale ad Enschede presentata dall’indimenticabile Rossana Bossaglia) ‘La ricerca dell’infinito nel vuoto’ in cui sottolineava come il lavoro desse un’impressione molto filosofica e nel contempo un’impressione di una scienza esatta, invitando lo spettatore ad andare ‘oltre’ e lo
scritto introduttivo ad una mia mostra a Bologna di Bruno D’Amore in cui poneva in evidenza come le relazioni spaziali tra gli elementi in gioco fossero dichiarate esplicitamente dal ricorrere della parola–oggetto ‘SPACE’
Luoghi
02.6598056
orario: dal martedì al sabato dalle ore 16.00 alle 19.30