Federica Marangoni. Memoria di Cristallo
A cura di: Viana Conti
C|E Contemporary, Milano, apre la stagione espositiva 2015 con la mostra personale Memoria di Cristallo dell’artista storica internazionale Federica Marangoni, a cura di Viana Conti. L’opening, Venerdì 6 marzo, dalle ore 18 alle 22, prevede la presenza dell’artista e l’introduzione alla mostra, alle ore 19, della curatrice.
Con tale evento C|E Contemporary intende dare inizio ad un percorso espositivo che alterni a figure di artisti che hanno scritto un’importante pagina di storia, nel contesto linguistico di riferimento, ad altri di una generazione contemporanea di mezzo, che ha già messo, tuttavia, a segno la sua ricerca estetica ed il pensiero teorico che la sottende, unitamente, infine, ad una selezione di giovani artisti emergenti.
Con questa mostra l’artista veneziana coniuga il suo presente con una rivisitazione del passato, creando un significativo percorso di opere in vetro, video, neon, da cui traspare la sua Weltanschauung, quella sua Visione del Mondo, che scorre, come un film, attraverso il filtro della memoria, il filo della narrazione ed il momento estetico-discorsivo della comunicazione extra, inter ed intra-personale.
Amica e sodale, tra gli altri, degli artisti statunitensi George Segal, Tom Wesselmann, Nam June Paik, indubbia pioniera nel campo del video, sperimenta già nei primi anni Settanta materiali tecnologici innovativi come il fiberglass bianco, il poliestere, la lastra di perspex, il neon, il vetro, che connoterà tutta la sua produzione artistica. Storica la sua installazione-performance The interrogation, presentata nel 1980, insieme alla prima mondiale del suo film The Box of Life, al MOMA di New York. Se, come protagonista, si affianca alle grandi donne della storia dell’arte al femminile, come Lee Krasner, Camille Claudel, Louise Nevelson, Louise Bourgeois, Carol Rama, come artista contemporanea è collocabile, a livello concettuale, a fianco di artisti quali Nam June Paik, Dan Flavin, Bruce Naumann, Joseph Kosuth, Jenny Holzer, Barbara Kruger. Nel 2001 la Peggy Guggenheim Collection di Venezia presenta uno Special Event per la celebrazione della sua attività trentennale, introdotto, a livello critico, nel volume, edizioni Fidia-Museo Parco di Portofino, Federica Marangoni - elettronica: madre di un sogno umanistico, dal grande storico dell’arte scomparso Pierre Restany, che ne ha costantemente seguito e apprezzato l’evoluzione e l’innovazione artistica. In questa serata storica viene esposta la videoinstallazione, articolata in sei monitor, Bleeding Heart/Dripping Rainbow, che, rinviando al disastro reale dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre, rappresenta, nel linguaggio virtuale, un cuore che non cessa di sanguinare accanto ad un arcobaleno che non cessa di sciogliersi nei suoi più iridati colori. Opere pubbliche le sono state commissionate nelle città spagnole di Siviglia e Barcellona, nel percorso urbano di Santa Cruz di Tenerife.
Riflesso su una sfera di cristallo, l’universo mediatico dei feticci e stereotipi di massa si spezza, nel suo lavoro, in quella miriade di frammenti che riscrivono, tra luci e ombre, la storia conflittuale dell’umanità. Un intenso viaggio tra Oriente e Occidente, quello di questa mostra, intessuto dei fili d’oro della cultura bizantina, del rosso sangue dei genocidi e dei crimini contro l’umanità, un racconto di tolleranze e intolleranze, di fughe dalla realtà e approdo sulle spiagge cristalline dell’immaginario, illuminate dalla conoscenza, dalla bellezza, dalla poesia. Una sequenza verticale di gradini in tubo di neon rosso modificato, in modo da creare l’interruzione continua dell’emissione del gas, con l’esito visivo di una scarica elettrica, invita a salire là dove l’orizzonte diventa tanto ampio da rendere inutile la scala stessa su cui si è saliti, da rendere wittgensteinianamente superflue le parole, indicibile la realtà che si dispiega davanti al soggetto. Nel panorama di uno stoccaggio informativo, sfociante in un deserto comunicazionale, un’installazione di monitor di vetro incrinato rompe la comunicazione, riducendola in schegge e invitando al silenzio. Scritte al neon, dai colori simbolici, disseminate sulle pareti, danno voce ad appelli alla pace, alla libertà, alla solidarietà, all’ascolto delle minoranze. Accanto ad un cuore che sanguina, una video-scultura composta da due schermi, che procedono in sincronia, dedicata dall’autrice al confronto del passato con il presente, ricorda, sulla parete di fondo, che La vita è tempo e memoria del tempo, ricreando con abiti, mantelli, dal decoro rinascimentale, set scenografici e iconografici, tratti da Cimabue e Pier della Francesca, di un mondo arcaico rivisitato dall’artista, in cui sacralità, bellezza, armonia, si confrontano con il Caos dell’Umanità, con una Babele di linguaggi, un brulicare di soggetti del malessere e della paura, che si duplicano, moltiplicano, fino a far esplodere il globo come un vaso di coccio. Scanditi dal ritmo del battito cardiaco, scorrono, davanti allo spettatore, nelle modalità di un reportage bellico, i fotogrammi di un’infanzia sfruttata e affamata, di una violenza antifemminista, di un fanatismo religioso dai risvolti inconcepibili. Una mano in vetro di Murano, intrisa di rosso, si distende a proteggere la scritta Tolerance. Un monitor racchiuso in una micro gabbia di metallo, presenta il video intitolato Autoritratto-Volevo dirti che…, in cui l’artista stessa, deprivata dell’audio, parla, nel caos assordante del mondo, a interlocutori che non l’ascoltano. Attenta alla lezione della scuola di ricerca canadese di Marshall McLuhan, Marangoni identifica precocemente, nella sua opera, il mezzo con il messaggio. Nei suoi progetti, a partire dagli anni Settanta, la glacialità del cristallo si anima di emozione e di pathos. Cittadina, fatalmente ed epocalmente, del Villaggio globale, Federica Marangoni sa recuperare, in un clima di omologazione linguistica, quel giusto Segno che la connota, dando Forma inimitabile al suo Pensiero ed alla sua Poetica.
Con tale evento C|E Contemporary intende dare inizio ad un percorso espositivo che alterni a figure di artisti che hanno scritto un’importante pagina di storia, nel contesto linguistico di riferimento, ad altri di una generazione contemporanea di mezzo, che ha già messo, tuttavia, a segno la sua ricerca estetica ed il pensiero teorico che la sottende, unitamente, infine, ad una selezione di giovani artisti emergenti.
Con questa mostra l’artista veneziana coniuga il suo presente con una rivisitazione del passato, creando un significativo percorso di opere in vetro, video, neon, da cui traspare la sua Weltanschauung, quella sua Visione del Mondo, che scorre, come un film, attraverso il filtro della memoria, il filo della narrazione ed il momento estetico-discorsivo della comunicazione extra, inter ed intra-personale.
Amica e sodale, tra gli altri, degli artisti statunitensi George Segal, Tom Wesselmann, Nam June Paik, indubbia pioniera nel campo del video, sperimenta già nei primi anni Settanta materiali tecnologici innovativi come il fiberglass bianco, il poliestere, la lastra di perspex, il neon, il vetro, che connoterà tutta la sua produzione artistica. Storica la sua installazione-performance The interrogation, presentata nel 1980, insieme alla prima mondiale del suo film The Box of Life, al MOMA di New York. Se, come protagonista, si affianca alle grandi donne della storia dell’arte al femminile, come Lee Krasner, Camille Claudel, Louise Nevelson, Louise Bourgeois, Carol Rama, come artista contemporanea è collocabile, a livello concettuale, a fianco di artisti quali Nam June Paik, Dan Flavin, Bruce Naumann, Joseph Kosuth, Jenny Holzer, Barbara Kruger. Nel 2001 la Peggy Guggenheim Collection di Venezia presenta uno Special Event per la celebrazione della sua attività trentennale, introdotto, a livello critico, nel volume, edizioni Fidia-Museo Parco di Portofino, Federica Marangoni - elettronica: madre di un sogno umanistico, dal grande storico dell’arte scomparso Pierre Restany, che ne ha costantemente seguito e apprezzato l’evoluzione e l’innovazione artistica. In questa serata storica viene esposta la videoinstallazione, articolata in sei monitor, Bleeding Heart/Dripping Rainbow, che, rinviando al disastro reale dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre, rappresenta, nel linguaggio virtuale, un cuore che non cessa di sanguinare accanto ad un arcobaleno che non cessa di sciogliersi nei suoi più iridati colori. Opere pubbliche le sono state commissionate nelle città spagnole di Siviglia e Barcellona, nel percorso urbano di Santa Cruz di Tenerife.
Riflesso su una sfera di cristallo, l’universo mediatico dei feticci e stereotipi di massa si spezza, nel suo lavoro, in quella miriade di frammenti che riscrivono, tra luci e ombre, la storia conflittuale dell’umanità. Un intenso viaggio tra Oriente e Occidente, quello di questa mostra, intessuto dei fili d’oro della cultura bizantina, del rosso sangue dei genocidi e dei crimini contro l’umanità, un racconto di tolleranze e intolleranze, di fughe dalla realtà e approdo sulle spiagge cristalline dell’immaginario, illuminate dalla conoscenza, dalla bellezza, dalla poesia. Una sequenza verticale di gradini in tubo di neon rosso modificato, in modo da creare l’interruzione continua dell’emissione del gas, con l’esito visivo di una scarica elettrica, invita a salire là dove l’orizzonte diventa tanto ampio da rendere inutile la scala stessa su cui si è saliti, da rendere wittgensteinianamente superflue le parole, indicibile la realtà che si dispiega davanti al soggetto. Nel panorama di uno stoccaggio informativo, sfociante in un deserto comunicazionale, un’installazione di monitor di vetro incrinato rompe la comunicazione, riducendola in schegge e invitando al silenzio. Scritte al neon, dai colori simbolici, disseminate sulle pareti, danno voce ad appelli alla pace, alla libertà, alla solidarietà, all’ascolto delle minoranze. Accanto ad un cuore che sanguina, una video-scultura composta da due schermi, che procedono in sincronia, dedicata dall’autrice al confronto del passato con il presente, ricorda, sulla parete di fondo, che La vita è tempo e memoria del tempo, ricreando con abiti, mantelli, dal decoro rinascimentale, set scenografici e iconografici, tratti da Cimabue e Pier della Francesca, di un mondo arcaico rivisitato dall’artista, in cui sacralità, bellezza, armonia, si confrontano con il Caos dell’Umanità, con una Babele di linguaggi, un brulicare di soggetti del malessere e della paura, che si duplicano, moltiplicano, fino a far esplodere il globo come un vaso di coccio. Scanditi dal ritmo del battito cardiaco, scorrono, davanti allo spettatore, nelle modalità di un reportage bellico, i fotogrammi di un’infanzia sfruttata e affamata, di una violenza antifemminista, di un fanatismo religioso dai risvolti inconcepibili. Una mano in vetro di Murano, intrisa di rosso, si distende a proteggere la scritta Tolerance. Un monitor racchiuso in una micro gabbia di metallo, presenta il video intitolato Autoritratto-Volevo dirti che…, in cui l’artista stessa, deprivata dell’audio, parla, nel caos assordante del mondo, a interlocutori che non l’ascoltano. Attenta alla lezione della scuola di ricerca canadese di Marshall McLuhan, Marangoni identifica precocemente, nella sua opera, il mezzo con il messaggio. Nei suoi progetti, a partire dagli anni Settanta, la glacialità del cristallo si anima di emozione e di pathos. Cittadina, fatalmente ed epocalmente, del Villaggio globale, Federica Marangoni sa recuperare, in un clima di omologazione linguistica, quel giusto Segno che la connota, dando Forma inimitabile al suo Pensiero ed alla sua Poetica.
Luoghi
www.cecontemporary.com 02 45483822
orario:mar-ven 15-19 ingresso libero