Enrico Cattaneo. Opere 1960 - 2005
Performance, inaugurazioni, artisti al lavoro, still life, e accanto casermoni inanimati, profili di fabbriche nel grigiore della nebbia padana, cascine in abbandono: ENRICO CATTANEO – Opere 1960-2005 ripercorre la carriera fotografica dell’artista meneghino. La mostra, accompagnata dalla monografia “Enrico Cattaneo” (firmata da Roberto Mutti per Collana Arte per l’arte – Abeditore, Milano, e presentata in occasione dell’esposizione pavese), e realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Pavia in collaborazione con la Galleria Scoglio di Quarto di Milano, inaugura sabato 11 ottobre 2014, ore 18, nello Spazio per le arti contemporanee del Broletto di Pavia e presenta, fino al 2 novembre 2014, una settantina di scatti che muovono dal ritratto al paesaggio, dal reportage allo still life, passando dal bianco e nero - che Cattaneo stampa personalmente - al colore, dalla reflex di piccolo formato al banco ottico, dagli esterni - che spesso coincidono con gli spazi delle gallerie frequentate - al suo studio di estroso alchimista.
Ciascuno di noi ha qualcosa da dire. Ma esistono idee che non si possono esprimere, né con tecniche oratorie, né attraverso la scrittura, e allora ti inventi un linguaggio; che è tuo. Solo tuo, afferma l’artista. Enrico Cattaneo non interviene mai aggiustando la scena, manipolando l’ambiente, ritoccando o distorcendo elementi del contesto in cui si trova; non opera come in un set cinematografico in cui allestire una scenografia. Lascia il luogo intatto, dove tutto è ready made. Con tutti gli stimoli che le presenze e le assenze, le mancanze e le sovrabbondanze, riflettono. Si limita solo a raccontare, capta l’essenza di ciò che lo circonda: è regista della narrazione. Il suo stile, caratteristico, è molto vicino all’estetica del reportage: Cattaneo lavora spesso in condizioni di luce scarsa o in luoghi ristretti, sopperendo a questi limiti con l’obbiettivo quadrangolare e con grande abilità dà vita a una carrellata di immagini che rappresentano ciascuna un mondo a sé stante.
Ci sono gli scatti – istantanei e non di una ricerca del ritratto impostato e costruito – degli artisti famosi, che svelano una certa attitudine significativa della loro personalità, e poi le fotografie, marcatamente espressionistiche, che raffigurano il volto del capoluogo lombardo negli anni del boom economico, col presagio di un incombente sfacelo identitario. È la Milano della fine anni Cinquanta-primi anni Sessanta, una piana urbanizzata, un orizzonte edificato: grattacieli, fabbriche, cascine abbandonate, rovine e resti. Sono i panorami della città che muta e che Cattaneo, da buon documentarista, immortala, fissa alla memoria, con un occhio di riguardo per ciò che è a margine, per lo spaesamento e il conflitto sociale.
Insieme alla documentazione del cosiddetto mondo dell’arte, ai paesaggi e ai contesti sociali, è esposta in mostra anche una parallela produzione di ricerca dell’artista, dove lo strumento fotografico viene utilizzato come si potrebbero utilizzare tela e pennelli. Si tratta di opere realizzate senza l’ausilio della macchina fotografica, frutto di una ricerca di studio in cui Cattaneo si è concentrato soltanto sulla carta, sulle reazioni chimiche e su tutto quanto ha a che fare con la luce.
Da un’indagine condotta utilizzando con molta sapienza le reazioni chimiche di diversi elementi sulla superficie della carta politenata Ilford - sottolinea Roberto Mutti – Enrico Cattaneo ha cominciato a sperimentare la possibilità di ottenere cromatismi dalle molte sfumature che, stratificandosi fino a dare effetti di profondità tridimensionale, hanno creato veri e propri “Paesaggi” di una diafana delicatezza, striature che ricordano le Montagne Rocciose, venature simili a tramonti immaginati, prospettive a perdita d’occhio che potrebbero essere quelle delle pianure desertiche di Marte. Ancora più complessa e affascinante è la serie che viene chiamata “Pagina”, sebbene lo spunto sia inizialmente casuale – le stampe mal riuscite venivano gettate in un cestino dove, incollandosi le une alle altre, formavano una sorta di scultura con le sembianze di un libro scompaginato – l’esito di questa ricerca è particolarmente affascinante anche per l’evidente vicinanza con la poetica dell’Arte Povera. Ancora una volta è la carta l’elemento centrale e non il soggetto che in un primo momento era destinata a “ricevere”.
Ciascuno di noi ha qualcosa da dire. Ma esistono idee che non si possono esprimere, né con tecniche oratorie, né attraverso la scrittura, e allora ti inventi un linguaggio; che è tuo. Solo tuo, afferma l’artista. Enrico Cattaneo non interviene mai aggiustando la scena, manipolando l’ambiente, ritoccando o distorcendo elementi del contesto in cui si trova; non opera come in un set cinematografico in cui allestire una scenografia. Lascia il luogo intatto, dove tutto è ready made. Con tutti gli stimoli che le presenze e le assenze, le mancanze e le sovrabbondanze, riflettono. Si limita solo a raccontare, capta l’essenza di ciò che lo circonda: è regista della narrazione. Il suo stile, caratteristico, è molto vicino all’estetica del reportage: Cattaneo lavora spesso in condizioni di luce scarsa o in luoghi ristretti, sopperendo a questi limiti con l’obbiettivo quadrangolare e con grande abilità dà vita a una carrellata di immagini che rappresentano ciascuna un mondo a sé stante.
Ci sono gli scatti – istantanei e non di una ricerca del ritratto impostato e costruito – degli artisti famosi, che svelano una certa attitudine significativa della loro personalità, e poi le fotografie, marcatamente espressionistiche, che raffigurano il volto del capoluogo lombardo negli anni del boom economico, col presagio di un incombente sfacelo identitario. È la Milano della fine anni Cinquanta-primi anni Sessanta, una piana urbanizzata, un orizzonte edificato: grattacieli, fabbriche, cascine abbandonate, rovine e resti. Sono i panorami della città che muta e che Cattaneo, da buon documentarista, immortala, fissa alla memoria, con un occhio di riguardo per ciò che è a margine, per lo spaesamento e il conflitto sociale.
Insieme alla documentazione del cosiddetto mondo dell’arte, ai paesaggi e ai contesti sociali, è esposta in mostra anche una parallela produzione di ricerca dell’artista, dove lo strumento fotografico viene utilizzato come si potrebbero utilizzare tela e pennelli. Si tratta di opere realizzate senza l’ausilio della macchina fotografica, frutto di una ricerca di studio in cui Cattaneo si è concentrato soltanto sulla carta, sulle reazioni chimiche e su tutto quanto ha a che fare con la luce.
Da un’indagine condotta utilizzando con molta sapienza le reazioni chimiche di diversi elementi sulla superficie della carta politenata Ilford - sottolinea Roberto Mutti – Enrico Cattaneo ha cominciato a sperimentare la possibilità di ottenere cromatismi dalle molte sfumature che, stratificandosi fino a dare effetti di profondità tridimensionale, hanno creato veri e propri “Paesaggi” di una diafana delicatezza, striature che ricordano le Montagne Rocciose, venature simili a tramonti immaginati, prospettive a perdita d’occhio che potrebbero essere quelle delle pianure desertiche di Marte. Ancora più complessa e affascinante è la serie che viene chiamata “Pagina”, sebbene lo spunto sia inizialmente casuale – le stampe mal riuscite venivano gettate in un cestino dove, incollandosi le une alle altre, formavano una sorta di scultura con le sembianze di un libro scompaginato – l’esito di questa ricerca è particolarmente affascinante anche per l’evidente vicinanza con la poetica dell’Arte Povera. Ancora una volta è la carta l’elemento centrale e non il soggetto che in un primo momento era destinata a “ricevere”.
Luoghi
www.comune.pv.it 0382 33853
orario. mar-ven 16-19 (al mattino apertura solo su prenotazione) sab e dom 10.30-13 e 16-19