Doris Maninger. Sono qui
L’atto artistico è sempre un’azione morale, anche quando un pittore riduce il colore alla sua forma più pura, proprio come quando si mette un’ombra al suo posto.
Risuonano lontane e quasi obsolete le parole di Luciano Fabro, nella loro attribuzione di valore etico al fare arte inteso come sintesi di ossessione e talento, impulso ineluttabile che sfugge in quanto tale ad ogni logica opportunistica o legata al desiderio di fama e successo. Ma continuano a rispondere, queste parole, a una profonda necessità: re-agire ai valori e ai ritmi della società consumista volgendosi verso la poesia intesa come poiesis, come azione del fare, del comporre, del trasformare e intervenire, manualmente (e forse magicamente) sul mondo. E’ in quest’ottica che è da leggersi il fare arte di Doris Maninger.
La vita è una faccenda quotidiana…
Così ci dice con suprema lucidità Tolstoj/Pierre verso la fine di “Guerra e Pace”, avendo scoperto che sono i dettagli più minuti degli eventi che rispondono ai (e gettano luce sui) moti più profondi e complessi (e anche contraddittori) della vita e dell’animo umano. Artisti come eroi forse? Ma di quell’eroismo che risiede nel modo di organizzare il proprio lavoro come metodo costante di sopravvivenza e resistenza ai tempi impazziti e accelerati, senza perdere dignità e senso. Artisti che giocano sul trasgredire sottilmente alle barriere disciplinari all’interno di una disciplina che conoscono profondamente, così facendo saltare gli stessi codici istituzionalizzati della trasgressione. Se questa definizione potesse dare il senso dell’opera di un’intera categoria di artisti, che attraversa praticamente tutta la modernità, a questa categoria sicuramente andrebbe ascritto il lavoro di Doris Maninger.
Le opere in mostra
Sono qui [un esercito di donnacce nude] è il titolo della mostra e di un piccolo universo di 100 donne, altrettanti tessuti e circa 2.500 bambini in ceramica, tutti realizzati durante una residenza di poco più di tre mesi presso l’European Ceramic Work Centre di s’Hertogenbosch (Olanda), nel 2013. Qui l’artista ha “prodotto” una donna al giorno (e anche un disegno), come forma di auto-disciplina e rituale quotidiano. Le donne si presentano come “schizzi tridimensionali” per la loro immediatezza e leggerezza. Ogni figura è appoggiata, accovacciata, nascosta tra le pieghe di calchi di tessuti in ceramica che sembrano stesi casualmente. La materia è stata manipolata nella sua interezza, senza concepire lo scarto, per cui da ogni avanzo è stato creato un bambino (maschio) e ognuno di loro è andato a formare una sorta di armata parallela. Le donne e i neonati
si presentano quindi come due gruppi simili ma opposti, in qualche modo dialoganti: le donne, seppur figure anonime, mantengono ognuna la propria specificità e unicità, raccontando attimi intimi e solitari, rappresentazioni emergenti dalla memoria o più precisamente da una memoria corporale, al tempo stesso fisica e interiore; i bambini, invece, pur avendo gesti e forme individuali, appaiono e acquistano identità come schiera compatta, omologati e uniti da un carattere non ancora definito ma dotati della forza positiva e dell’energia naturale dell’armata pronta a compiere i primi passi.
Un’installazione a muro di nuovi disegni, uniti da una linea rossa, completa come una paradossale post-produzione (i disegni riprendono le sculture, invertendo un processo canonico...) il quadro d’insieme.
Il libro
Sono qui [un esercito di donnacce nude] – il libro raccoglie parte dei disegni nati durante la residenza olandese. Sorta di racconto continuo, essi sono una concatenazione di episodi vissuti e di riferimenti a immagini della memoria, in qualche caso accompagnati da note molto personali legate al momento creativo e apparentemente dissociate dalle immagini stesse, forse consapevole rappresentazione di quanto la memoria non sia altro che una serie infinita di ricostruzioni che il “presente” fa del “passato”. Ironici e macabri al tempo stesso, i disegni rivelano la carica emozionale oltre che il gusto della provocazione alla base dell’intero lavoro. Primo “libro d’artista” di Doris Maninger, il volume contiene una riflessione sui disegni dello scrittore Michele Mari, un’analisi critica dello storico dell’arte Riccardo Lami, un “disegno linguistico” della scrittrice e curatrice Sarah Rifky, una conversazione tra l’artista e sua figlia, la curatrice Antonia Alampi e la post-prefazione di Stefania Miscetti.
Il libro è edito da Nero Publishing.
Risuonano lontane e quasi obsolete le parole di Luciano Fabro, nella loro attribuzione di valore etico al fare arte inteso come sintesi di ossessione e talento, impulso ineluttabile che sfugge in quanto tale ad ogni logica opportunistica o legata al desiderio di fama e successo. Ma continuano a rispondere, queste parole, a una profonda necessità: re-agire ai valori e ai ritmi della società consumista volgendosi verso la poesia intesa come poiesis, come azione del fare, del comporre, del trasformare e intervenire, manualmente (e forse magicamente) sul mondo. E’ in quest’ottica che è da leggersi il fare arte di Doris Maninger.
La vita è una faccenda quotidiana…
Così ci dice con suprema lucidità Tolstoj/Pierre verso la fine di “Guerra e Pace”, avendo scoperto che sono i dettagli più minuti degli eventi che rispondono ai (e gettano luce sui) moti più profondi e complessi (e anche contraddittori) della vita e dell’animo umano. Artisti come eroi forse? Ma di quell’eroismo che risiede nel modo di organizzare il proprio lavoro come metodo costante di sopravvivenza e resistenza ai tempi impazziti e accelerati, senza perdere dignità e senso. Artisti che giocano sul trasgredire sottilmente alle barriere disciplinari all’interno di una disciplina che conoscono profondamente, così facendo saltare gli stessi codici istituzionalizzati della trasgressione. Se questa definizione potesse dare il senso dell’opera di un’intera categoria di artisti, che attraversa praticamente tutta la modernità, a questa categoria sicuramente andrebbe ascritto il lavoro di Doris Maninger.
Le opere in mostra
Sono qui [un esercito di donnacce nude] è il titolo della mostra e di un piccolo universo di 100 donne, altrettanti tessuti e circa 2.500 bambini in ceramica, tutti realizzati durante una residenza di poco più di tre mesi presso l’European Ceramic Work Centre di s’Hertogenbosch (Olanda), nel 2013. Qui l’artista ha “prodotto” una donna al giorno (e anche un disegno), come forma di auto-disciplina e rituale quotidiano. Le donne si presentano come “schizzi tridimensionali” per la loro immediatezza e leggerezza. Ogni figura è appoggiata, accovacciata, nascosta tra le pieghe di calchi di tessuti in ceramica che sembrano stesi casualmente. La materia è stata manipolata nella sua interezza, senza concepire lo scarto, per cui da ogni avanzo è stato creato un bambino (maschio) e ognuno di loro è andato a formare una sorta di armata parallela. Le donne e i neonati
si presentano quindi come due gruppi simili ma opposti, in qualche modo dialoganti: le donne, seppur figure anonime, mantengono ognuna la propria specificità e unicità, raccontando attimi intimi e solitari, rappresentazioni emergenti dalla memoria o più precisamente da una memoria corporale, al tempo stesso fisica e interiore; i bambini, invece, pur avendo gesti e forme individuali, appaiono e acquistano identità come schiera compatta, omologati e uniti da un carattere non ancora definito ma dotati della forza positiva e dell’energia naturale dell’armata pronta a compiere i primi passi.
Un’installazione a muro di nuovi disegni, uniti da una linea rossa, completa come una paradossale post-produzione (i disegni riprendono le sculture, invertendo un processo canonico...) il quadro d’insieme.
Il libro
Sono qui [un esercito di donnacce nude] – il libro raccoglie parte dei disegni nati durante la residenza olandese. Sorta di racconto continuo, essi sono una concatenazione di episodi vissuti e di riferimenti a immagini della memoria, in qualche caso accompagnati da note molto personali legate al momento creativo e apparentemente dissociate dalle immagini stesse, forse consapevole rappresentazione di quanto la memoria non sia altro che una serie infinita di ricostruzioni che il “presente” fa del “passato”. Ironici e macabri al tempo stesso, i disegni rivelano la carica emozionale oltre che il gusto della provocazione alla base dell’intero lavoro. Primo “libro d’artista” di Doris Maninger, il volume contiene una riflessione sui disegni dello scrittore Michele Mari, un’analisi critica dello storico dell’arte Riccardo Lami, un “disegno linguistico” della scrittrice e curatrice Sarah Rifky, una conversazione tra l’artista e sua figlia, la curatrice Antonia Alampi e la post-prefazione di Stefania Miscetti.
Il libro è edito da Nero Publishing.
Luoghi
http://www.studiostefaniamiscetti.com 06 68805880 06 68805880
orario:mar-sab 16-20 Ingresso libero