Domenico D'Oora. Emerging in color field
A cura di: Leonardo Conti
La PoliArt Contemporary è lieta di presentare Emerging in color field, esposizione dedicata alle opere recenti di Domenico D’Oora. È un allestimento di circa venti particolarissimi monocromi, in cui la pittura emerge sporgendosi dalle pareti, come in intervalli cromatici risonanti dal silenzio.
Quelle di D’Oora sono opere dallo spesso pigmento, risultato di una “materica” segreta, in cui l’alchemico colore si mostra come strato affiorante di una profonda geologia. È negli spessi tagli, nelle faglie, che si producono gli aggetti che rendono queste pitture oggetti, isole significanti nel mare grande dell’arte contemporanea. Ciò che in questa pittura affiora: l’impossibile immobilità di un moto ondoso, le striature rattenute, l’infinitesima porosità del profondo, e il difetto – calcolato o involontario - in cui il presente vivo accade, sono i segni in cui l’attenzione àncora il nostro stesso passare. Per questo motivo ogni mostra di D’Oora, ogni allestimento, va visitato come un arcipelago temporaneo, caduco come una musica ascoltata per la prima volta, eppure destinata a lasciare una mappa mentale, quasi un ritornello da canticchiare altrove, ancora.
Perché le opere di D’Oora sono rocce incastonate nel tempo, pietre arenarie in cui la sabbia che nei millenni è andata sedimentandosi per accumulazione di strati, ora diventa legno e talvolta plexiglass, in cui si scandisce il ritmo profondo di questa pittura. Ecco che questi strati di materiali, lignei e plastici, possono indicare persino il sedimentarsi di una cultura visiva, attraverso secoli che stratificano i presenti.
Qui D’Oora interviene con il movimento ondulatorio del colore, meticolosamente preparato in quasi alchemici calcoli cromatici, riposti tra i segreti dell’artista. La sua tipica timbrica impura, in cui risuonano complementari, viene a sovrapporsi agli stati degli anni, affinché l’infinito calibrarsi della pittura divenga storia. Saranno opere quiete e silenti quelle di D’Oora, ma al contempo ferme tra i flutti della caducità, narrative come fu narrativo il canto di un aedo: le opere di D’Oora sono spazi aperti sul silenzio, sono spazi aperti sul tempo.
Nel vastissimo panorama del monocromo, che dagli anni Sessanta ha attraversato l’arte contemporanea internazionale, questa ricerca può definirsi a pieno diritto anticlassica. Come ha potuto esserlo Parmigianino nella pittura del Cinquecento, Domenico D’Oora è una sorta di manierista in questo vasto cromatico campo (color field), in cui il monocromo sfugge ai paludamenti di troppi vacui spiritualismi, per trovare nella prodigiosa alchimia che trasforma la pittura in oggetto e l’oggetto in pittura, un luogo contemplativo in cui fondere il tempo che passa con il tempo che ci resta.
Quelle di D’Oora sono opere dallo spesso pigmento, risultato di una “materica” segreta, in cui l’alchemico colore si mostra come strato affiorante di una profonda geologia. È negli spessi tagli, nelle faglie, che si producono gli aggetti che rendono queste pitture oggetti, isole significanti nel mare grande dell’arte contemporanea. Ciò che in questa pittura affiora: l’impossibile immobilità di un moto ondoso, le striature rattenute, l’infinitesima porosità del profondo, e il difetto – calcolato o involontario - in cui il presente vivo accade, sono i segni in cui l’attenzione àncora il nostro stesso passare. Per questo motivo ogni mostra di D’Oora, ogni allestimento, va visitato come un arcipelago temporaneo, caduco come una musica ascoltata per la prima volta, eppure destinata a lasciare una mappa mentale, quasi un ritornello da canticchiare altrove, ancora.
Perché le opere di D’Oora sono rocce incastonate nel tempo, pietre arenarie in cui la sabbia che nei millenni è andata sedimentandosi per accumulazione di strati, ora diventa legno e talvolta plexiglass, in cui si scandisce il ritmo profondo di questa pittura. Ecco che questi strati di materiali, lignei e plastici, possono indicare persino il sedimentarsi di una cultura visiva, attraverso secoli che stratificano i presenti.
Qui D’Oora interviene con il movimento ondulatorio del colore, meticolosamente preparato in quasi alchemici calcoli cromatici, riposti tra i segreti dell’artista. La sua tipica timbrica impura, in cui risuonano complementari, viene a sovrapporsi agli stati degli anni, affinché l’infinito calibrarsi della pittura divenga storia. Saranno opere quiete e silenti quelle di D’Oora, ma al contempo ferme tra i flutti della caducità, narrative come fu narrativo il canto di un aedo: le opere di D’Oora sono spazi aperti sul silenzio, sono spazi aperti sul tempo.
Nel vastissimo panorama del monocromo, che dagli anni Sessanta ha attraversato l’arte contemporanea internazionale, questa ricerca può definirsi a pieno diritto anticlassica. Come ha potuto esserlo Parmigianino nella pittura del Cinquecento, Domenico D’Oora è una sorta di manierista in questo vasto cromatico campo (color field), in cui il monocromo sfugge ai paludamenti di troppi vacui spiritualismi, per trovare nella prodigiosa alchimia che trasforma la pittura in oggetto e l’oggetto in pittura, un luogo contemplativo in cui fondere il tempo che passa con il tempo che ci resta.
Luoghi
www.galleriapoliart.com 02 70636109
orario: mer, gio, ven 16.30-19, sab 10.30-13 ingresso libero