Deborah Ligorio. Accessories in Algorithmic Gardens
Per la sua personale da Francesca Minini, Deborah Ligorio presenta una serie di ritratti basati sul calcolo del carbon footprint individuale di un gruppo di amici e amici di amici. A precedere l’inaugurazione della mostra, la galleria ospiterà un workshop parte della serie [ the Eponym ]: su lifelogging, naturacultura, e esercitazioni corporee. Generando un evento discorsivo alcuni elementi del workshop restano in mostra. Come la sequenza di succinti trailers, brevissimi video dalla durata di alcune decine di secondi, che virtualmente accompagnano i workshop.
La mostra si confronta con la natura dinamica e complessa delle pratiche scientifiche, ne osserva economie di guadagno-perdita. Il profilo di una pesona basato sui suoi dati viene utilizzato dall’industria Informatica per commercializzare prodotti personalizzati. Il ritratto basato sui propri dati è quello generato constantemente dai social network. La mostra esplora e osserva come la materialità della nostra incorporazione e gli strumenti di misurazione che utiliziamo per osservare, capire e descrivere il mondo ne determinano la sua stessa percezione.
Un esempio è il riscaldamento globale: sappiamo che sta avvenendo grazie a delle misurazioni scientifiche, perché gli effetti percettibili sono solo effetti estetici che sono direttamente casuali. Ma allo stesso tempo anche le misure che decidiamo di prendere sono il risultato di una visualizzazione scientifica. Per realizzare le opere in mostra e calcolare le emissini di C02 viene utilizzato uno dei tool disponibili online.
Il sistema a risposta multipla si manifesta come pratica di produzione-di-confine che è in se formativo di uno standard comportamentale. Non prevedendo importanti sfumature di comportamento, risulta evidente che questo come altri simili strumenti, viene ottimizzato sul sistema di vita del mondo occidentalale. La mostra si cimenta in una negoziazione dialettica dei confini, limiti e materialità prodotti dallo strumento o apparato utilizzato. Il termine “Apparatus’ per la teorica Karen Barad indica delle “ specifiche pratiche discorsivo-materiali (che non sono solo configurazioni di laboratorio che incorporano concetti umani e prendono misure); gli apparati producono differenze che contano: sono pratiche di produzione-di-confine che sono formative di materia e significato, produttori, e parte, del fenomeno prodotto”. Deborah Ligorio con la serie di ritratti sui dati delle emissioni di carbonio, realizza una serie di visualizzazioni: tele di piccolo formato, risultato della traduzione dei dati e dell’osservazione di aspetti quantitativi e qualitativi delle abitudini dei soggetti ritratti. Le tele mescolano collage e acrilico su diversi materiali. Questi materiali usati come fondo sono montati su telaio, e scelti di volta in volta per descrivire caratteristiche della persona ritratta. Una stringa che avvolge le tele corrisponde alla quantità di spostamenti; il calcolo è stato effettuato su un anno di tempo.
L’interfaccia, o la magnitudine che utilizziamo per guardare il mondo può essere anche definita come scala. Come scrive lo storico dell’ambiente Marco Armiero: “ [ … ] la scala che scegliamo di adottare, cambia il modo in cui comprendiamo i problemi, e inquadriamo le soluzioni. Consideriamo per esempio alcune severe normative ambientali, che quando applicate nei paesi ricchi, hanno semplicemente prodotto lo spostamento delle produzioni pericolose nei paesi poveri con leggi ambientali meno rigide, in quello che viene chiamato ‘Environmental dumping’.”
Lo stesso sistema di conoscenza che utilizza queste separazoni, fornisce allo stesso tempo gli strumenti scientifici per visualizzare il pianeta come un ecosistema, dove tutte le sue parti sono interconnesse anche se questo aspetto è ampiamente negato dalla politica del prendersi cura del proprio giardino.
Il teorico Timothy Morton dice: “A Differenza di Latour, io credo che siamo stati moderni, e che questo ha avuto effetti sugli esseri umani e non umani. [...]
Ora sappiamo dove vanno le cose. Per qualche tempo forse abbiamo pensato che la curva a U in bagno fosse una comoda curvatura dello spazio ontologico che porta tutto ciò che gli butti dentro in una dimensione totalmente diversa chiamata Altrove, lasciando qui tutto pulito. Ora sappiamo invece: che al posto della mitica terra chiamata Altrove, i rifiuti vanno nell’Oceano Pacifico e negli impianti di trattamento delle acque reflue. La conoscenza della Terra hyperobject, e della biosfera hyperobject, ci si presenta con superfici viscose da cui nulla può essere forzatamente rimosso.”
La mostra parte dal presupposto che la stessa connettività e la stessa impossibilità di districarsi tra vite umane e non umane, tra mondo animato e inanimato, forma tessiture di oggetti materiali e dati imateriali. La medesima viscosità infatti è quella che lega l’infinità di dati in questa distesa di giardini algoritmici e la materialità di cui diventano accessori. Ringraziamenti speciali a: Stefania Galegati, Massimo Grimaldi, Paul Keil, e Caleb Waldorf.
La mostra si confronta con la natura dinamica e complessa delle pratiche scientifiche, ne osserva economie di guadagno-perdita. Il profilo di una pesona basato sui suoi dati viene utilizzato dall’industria Informatica per commercializzare prodotti personalizzati. Il ritratto basato sui propri dati è quello generato constantemente dai social network. La mostra esplora e osserva come la materialità della nostra incorporazione e gli strumenti di misurazione che utiliziamo per osservare, capire e descrivere il mondo ne determinano la sua stessa percezione.
Un esempio è il riscaldamento globale: sappiamo che sta avvenendo grazie a delle misurazioni scientifiche, perché gli effetti percettibili sono solo effetti estetici che sono direttamente casuali. Ma allo stesso tempo anche le misure che decidiamo di prendere sono il risultato di una visualizzazione scientifica. Per realizzare le opere in mostra e calcolare le emissini di C02 viene utilizzato uno dei tool disponibili online.
Il sistema a risposta multipla si manifesta come pratica di produzione-di-confine che è in se formativo di uno standard comportamentale. Non prevedendo importanti sfumature di comportamento, risulta evidente che questo come altri simili strumenti, viene ottimizzato sul sistema di vita del mondo occidentalale. La mostra si cimenta in una negoziazione dialettica dei confini, limiti e materialità prodotti dallo strumento o apparato utilizzato. Il termine “Apparatus’ per la teorica Karen Barad indica delle “ specifiche pratiche discorsivo-materiali (che non sono solo configurazioni di laboratorio che incorporano concetti umani e prendono misure); gli apparati producono differenze che contano: sono pratiche di produzione-di-confine che sono formative di materia e significato, produttori, e parte, del fenomeno prodotto”. Deborah Ligorio con la serie di ritratti sui dati delle emissioni di carbonio, realizza una serie di visualizzazioni: tele di piccolo formato, risultato della traduzione dei dati e dell’osservazione di aspetti quantitativi e qualitativi delle abitudini dei soggetti ritratti. Le tele mescolano collage e acrilico su diversi materiali. Questi materiali usati come fondo sono montati su telaio, e scelti di volta in volta per descrivire caratteristiche della persona ritratta. Una stringa che avvolge le tele corrisponde alla quantità di spostamenti; il calcolo è stato effettuato su un anno di tempo.
L’interfaccia, o la magnitudine che utilizziamo per guardare il mondo può essere anche definita come scala. Come scrive lo storico dell’ambiente Marco Armiero: “ [ … ] la scala che scegliamo di adottare, cambia il modo in cui comprendiamo i problemi, e inquadriamo le soluzioni. Consideriamo per esempio alcune severe normative ambientali, che quando applicate nei paesi ricchi, hanno semplicemente prodotto lo spostamento delle produzioni pericolose nei paesi poveri con leggi ambientali meno rigide, in quello che viene chiamato ‘Environmental dumping’.”
Lo stesso sistema di conoscenza che utilizza queste separazoni, fornisce allo stesso tempo gli strumenti scientifici per visualizzare il pianeta come un ecosistema, dove tutte le sue parti sono interconnesse anche se questo aspetto è ampiamente negato dalla politica del prendersi cura del proprio giardino.
Il teorico Timothy Morton dice: “A Differenza di Latour, io credo che siamo stati moderni, e che questo ha avuto effetti sugli esseri umani e non umani. [...]
Ora sappiamo dove vanno le cose. Per qualche tempo forse abbiamo pensato che la curva a U in bagno fosse una comoda curvatura dello spazio ontologico che porta tutto ciò che gli butti dentro in una dimensione totalmente diversa chiamata Altrove, lasciando qui tutto pulito. Ora sappiamo invece: che al posto della mitica terra chiamata Altrove, i rifiuti vanno nell’Oceano Pacifico e negli impianti di trattamento delle acque reflue. La conoscenza della Terra hyperobject, e della biosfera hyperobject, ci si presenta con superfici viscose da cui nulla può essere forzatamente rimosso.”
La mostra parte dal presupposto che la stessa connettività e la stessa impossibilità di districarsi tra vite umane e non umane, tra mondo animato e inanimato, forma tessiture di oggetti materiali e dati imateriali. La medesima viscosità infatti è quella che lega l’infinità di dati in questa distesa di giardini algoritmici e la materialità di cui diventano accessori. Ringraziamenti speciali a: Stefania Galegati, Massimo Grimaldi, Paul Keil, e Caleb Waldorf.
Luoghi
http://www.francescaminini.it 02 26924671 02 21596402
Orario: mar-sab 11-19.30 Ingresso libero