Davies Zambotti "Scomodi Dialoghi"
A cura di: Barbara Fragogna
La Fusion Art Gallery - Inaudita presenta la mostra Scomodi Dialoghi di Davies Zambotti, regista/fotografa che ha lavorato in molti set cinematografici, tra cui "Sorelle Mai" di Marco Bellocchio, "I Galantuomini" di Edoardo Winspeare, "The International" di Tomy Tykwer. La mostra è un'installazione fotografica e video nella quale l’oscuro dibattito tra la corsa del tempo e la frenesia atarassica della stasi innescano un’epopea notturna dove le dimensioni s’incrociano creando paesaggi polivalenti e alieni.
La mostra rientra nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018 ed è promossa e realizzata dal MEF - Museo Ettore Fico in collaborazione con le realtà aderenti all'iniziativa, la kermesse è stata ideata dal direttore del MEF, Andrea Busto.
Fusion/Inaudita è parte dei circuiti NEsxT – Indepentent Art Festival, COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.
L’intrigo dello spostamento lineare
di Barbara Fragogna
„Io baso tutte le mie decisioni sull'intuizione. Io tiro un dardo nell'oscurità. Quella è intuizione.
Poi devo mandare un esercito nell'oscurità per cercare il dardo. Quello è intelletto.“ – Ingmar Bergman
L’oscuro dibattito tra la corsa del tempo e la frenesia atarassica della stasi innescano un’epopea notturna dove le dimensioni s’incrociano creando paesaggi polivalenti e alieni. Il tempo è una distanza tra il passato e il futuro, una massa. Il tempo è la sintesi del momento presente, lo scatto, il frame, lo still. Anche quando la pellicola corre (perché le fotografie, i progetti di Davies Zambotti sono cinema) tutto è fermo sospeso ma in moto, l’immobile saetta sul tapis roulant, lo schermo totem, l’ologramma 3D dell’illusione 2D, la caduta nel pozzo nero che, precipitando, rimpicciolisce (slow motion) l’oggetto centrale (sempre biancastro) fino al click, la vibrazione che è l’imprescindibile sostanza della materia. Non siamo mai fermi, neanche quando siamo immobili, la mente elabora, il sangue scorre, l’infinitesimamente piccolo ribolle e scalpita. Il lavoro di Davies è così. L’apparentemente minimale che sotto la lente è ornato guazzabuglio. Si sente il rumore. Si vede il “rumore” come una cellula al microscopio, come la macro di una cartolina d’epoca.
Scomodi dialoghi si svolgono tra Sé e Sé. Due identità distinte dello stesso individuo, due momenti, un confronto anacronistico, un tentativo fallimentare che si risolve nonostante tutto. Un viaggio proteso in avanti che cerca soluzioni circolari dentro e fuori, che evolve per svolgersi in due passaggi, prima e dopo, avanti e indietro, spazio e distanza, meta e bersaglio, nostalgia asfissiante, ricordi ricostruiti dalle macerie dell’esperienza e dell’esasperazione, tragedia dell’entropia. Il ricordo è imperfetto, falso ma onesto. Comunque.
Luce propria nel buio. Lume che ad ogni passo spegne e accende, spegne e accende. Dice e tace. “Quanto dista l’alba?”, l’orizzonte è un parametro, una necessità intellettuale che giustifica un giudizio. Il sole non sorge. La gravità s’impone. Le leggi naturali sono troppo semplici per le necessità dell’Ego che desidera piuttosto onnipotenza e miseria. Che grida miseria. Che reclama onnipotenza. L’incedere brucia le tappe della percezione e la ragione viene meno davanti alle mille possibilità comandate dall’esigenza sociale. La ragione, tutto sommato, è esistenziale.
Quelle cremose e sgargianti scie, quelle meravigliose strisciate di campi che si sovrappongono e permeano sono gli strati sedimentari del pensiero vigile, sono le storie di tutte le vite che compongono il paesaggio sovrapponendosi, sono il passaggio/portale verso un riflesso più chiaro del paradosso privato. Le bulbose e raggianti entità sospese nel nero sono mostri degli abissi, navicelle aliene, chimere mitiche, divinità recondite, fulcri di opportunità manifeste, conclamazioni di dignità nell’essere, grumi di magma energetico, poli d’attrazione sensoriale e critica, dichiarazioni di presenza concreta. Navigo e volo, corro e scivolo. Interpretazioni di “fondo”.
I dialoghi scomodamente c’interrogano sul senso dell’impostazione di default.
Davies ci offre delle possibilità, degli spunti di vista, calibra il navigatore sul “vai-dove-vuoi-ma-seguimi” e nel buio ci lascia immaginare l’unica e temporaneamente assoluta, sua personale verità.
La mostra rientra nell'ambito della prima edizione di Fo.To. Fotografi a Torino, che si svolge dal 3 maggio al 29 luglio 2018 ed è promossa e realizzata dal MEF - Museo Ettore Fico in collaborazione con le realtà aderenti all'iniziativa, la kermesse è stata ideata dal direttore del MEF, Andrea Busto.
Fusion/Inaudita è parte dei circuiti NEsxT – Indepentent Art Festival, COLLA e di ContemporaryArt Torino e Piemonte.
L’intrigo dello spostamento lineare
di Barbara Fragogna
„Io baso tutte le mie decisioni sull'intuizione. Io tiro un dardo nell'oscurità. Quella è intuizione.
Poi devo mandare un esercito nell'oscurità per cercare il dardo. Quello è intelletto.“ – Ingmar Bergman
L’oscuro dibattito tra la corsa del tempo e la frenesia atarassica della stasi innescano un’epopea notturna dove le dimensioni s’incrociano creando paesaggi polivalenti e alieni. Il tempo è una distanza tra il passato e il futuro, una massa. Il tempo è la sintesi del momento presente, lo scatto, il frame, lo still. Anche quando la pellicola corre (perché le fotografie, i progetti di Davies Zambotti sono cinema) tutto è fermo sospeso ma in moto, l’immobile saetta sul tapis roulant, lo schermo totem, l’ologramma 3D dell’illusione 2D, la caduta nel pozzo nero che, precipitando, rimpicciolisce (slow motion) l’oggetto centrale (sempre biancastro) fino al click, la vibrazione che è l’imprescindibile sostanza della materia. Non siamo mai fermi, neanche quando siamo immobili, la mente elabora, il sangue scorre, l’infinitesimamente piccolo ribolle e scalpita. Il lavoro di Davies è così. L’apparentemente minimale che sotto la lente è ornato guazzabuglio. Si sente il rumore. Si vede il “rumore” come una cellula al microscopio, come la macro di una cartolina d’epoca.
Scomodi dialoghi si svolgono tra Sé e Sé. Due identità distinte dello stesso individuo, due momenti, un confronto anacronistico, un tentativo fallimentare che si risolve nonostante tutto. Un viaggio proteso in avanti che cerca soluzioni circolari dentro e fuori, che evolve per svolgersi in due passaggi, prima e dopo, avanti e indietro, spazio e distanza, meta e bersaglio, nostalgia asfissiante, ricordi ricostruiti dalle macerie dell’esperienza e dell’esasperazione, tragedia dell’entropia. Il ricordo è imperfetto, falso ma onesto. Comunque.
Luce propria nel buio. Lume che ad ogni passo spegne e accende, spegne e accende. Dice e tace. “Quanto dista l’alba?”, l’orizzonte è un parametro, una necessità intellettuale che giustifica un giudizio. Il sole non sorge. La gravità s’impone. Le leggi naturali sono troppo semplici per le necessità dell’Ego che desidera piuttosto onnipotenza e miseria. Che grida miseria. Che reclama onnipotenza. L’incedere brucia le tappe della percezione e la ragione viene meno davanti alle mille possibilità comandate dall’esigenza sociale. La ragione, tutto sommato, è esistenziale.
Quelle cremose e sgargianti scie, quelle meravigliose strisciate di campi che si sovrappongono e permeano sono gli strati sedimentari del pensiero vigile, sono le storie di tutte le vite che compongono il paesaggio sovrapponendosi, sono il passaggio/portale verso un riflesso più chiaro del paradosso privato. Le bulbose e raggianti entità sospese nel nero sono mostri degli abissi, navicelle aliene, chimere mitiche, divinità recondite, fulcri di opportunità manifeste, conclamazioni di dignità nell’essere, grumi di magma energetico, poli d’attrazione sensoriale e critica, dichiarazioni di presenza concreta. Navigo e volo, corro e scivolo. Interpretazioni di “fondo”.
I dialoghi scomodamente c’interrogano sul senso dell’impostazione di default.
Davies ci offre delle possibilità, degli spunti di vista, calibra il navigatore sul “vai-dove-vuoi-ma-seguimi” e nel buio ci lascia immaginare l’unica e temporaneamente assoluta, sua personale verità.
Luoghi
http://www.fusionartgallery.net +39 3493644287