Corrado Levi "Di amici, di uomini e di Pontormo"
A cura di: Damiano Gullì
orario: da lunedì a venerdì / dalle ore 15 alle 19.30
sabato su appuntamento
“In uno de’ canti dove sono i quattro Evangelisti nudi con libri in mano, non mi pare, anzi in niun luogo, osservato né ordine di storia, né misura, né tempo […]: ma pieno ogni cosa di ignudi”.
Così Giorgio Vasari ne Le Vite – la cui seconda edizione ampliata e revisionata, rispetto alla prima del 1550, è del 1568 – a proposito del ciclo di affreschi realizzato da Jacopo Carrucci, detto Pontormo, per la chiesa di San Lorenzo a Firenze, oggi perduto. Di tale ciclo parla anche Pontormo nel suo Diario, scritto durante gli ultimi tre anni di vita e lasciato incompiuto a causa della morte avvenuta il 31 dicembre 1556: una fonte autografa preziosa per conoscere molti aspetti della personalità di questo artista difficile, ipocondriaco, saturnino, tracotante ma perennemente insoddisfatto del proprio lavoro, fin da giovane “malinconico e soletario”, sempre secondo Vasari. Uno straordinario talento precoce, incompreso poi nella maturità – per le prospettive audaci e irreali, i gesti innaturali, le vesti dai drappeggi artificiosi –, riscoperto solo nei primi anni del Novecento.
Pontormo esercita una grande fascinazione su Corrado Levi, che ne interpreta l’opera in chiave psicoanalitica, e che – narra l’aneddoto – alla lettura in piedi del Diario, durante una occupazione studentesca sessantottina, deve l’ottenimento della cattedra al Politecnico di Milano da parte di Paolo Portoghesi, allora Preside della Facoltà di Architettura, incuriosito da questo episodio.
In Levi – nei suoi viaggi, nei suoi incontri – si ritrova l’irrequietezza di vivere e di pensiero di Pontormo. E Pontormo è da Levi ridisegnato e riprodotto in Undici volte col Pontormo (1982): un originale “moltiplicato”, attraversato da pennellate di colore diverse a coprire il sesso, uno sberleffo a quelle nudità su cui Vasari insisteva. Corrado Levi compie una operazione a tratti di matrice pop, un processo di elaborazione degli stessi temi e schemi – ricorrente nelle sue opere – volto a evidenziare la ripetizione nella differenza. Nel 1987 Levi torna ancora una volta alla silhouette del disegno di Pontormo, astraendola, stilizzandola e aggiungendo uno specchio al piede destro per dare vita al divertito Ce l’ho in un piede, sorta di surreale anti-Modulor di Le Corbusier.
Corrado Levi – maestro “trasversale” per Beppe Finessi – lavora in una dimensione interstiziale, di passaggio e scivolamento tra le discipline e le tecniche. Afferma: “Essere pittore, architetto, scrittore sono discipline diverse che richiedono, ciascuna, dedizione e fatica, però hanno la stessa metodologia mentale. Quando passi da una disciplina all’altra, con diverse tecniche, in diverse modalità, succede che impari qualcosa di te stesso e delle cose. Ti accorgi delle modalità specifiche di ciascuna disciplina”.
Animato dalla volontà di sviluppare l’arte attraverso contaminazioni e aperture a esperienze non artistiche, Levi individua e rielabora elementi del quotidiano e del banale, su cui interviene con piccoli gesti, caricandoli di nuovo senso, senza rinunciare a leggerezza e ironia e con un costante rimando alla sfera personale e al proprio vissuto.
La personale alla RIBOT gallery di Milano si concentra su un corpus di opere realizzate da Levi tra il 1982 e il 1986, anni cruciali costellati di viaggi, incontri, mostre fondamentali. Tre le città cardine per Levi in questi anni: La Spezia, New York e Milano. A La Spezia, tra il 1982 e il 1983, Levi è assistente di Mario Schifano, che abita ad Ansedonia e di lui dirà “Habemus Pinctor” – definizione poi confluita nel titolo dell’omonima tela di Levi del 1982 – instillando un “frenetico desiderio di dipingere”. Tra il 1983 e il 1984 Corrado Levi è a New York, uno di quei luoghi che “cambiano la vita”, crocevia di esperienze artistiche, filosofiche ed estetiche irripetibili. Del 1985 il ritorno a Milano, dove inizia a curare alcune mostre ospitate all’interno del suo studio e in istituzioni culturali, tra le quali la seminale Il Cangiante del 1986 al PAC, idiosincratico quadro della scena artistica contemporanea.
Il corpo maschile per Levi è centrale. Un corpo spesso paradossalmente invisibile, evocato nella sua assenza. Negli acrilici su tela di grandi dimensioni Tracce di nudi e Serie Autunno (1982) – grondanti un erotismo soffuso e diffuso, delicato e poetico – il corpo è tradotto in segni veloci e aggrovigliati, in gesti rapidi e nervosi, con un fluido scivolamento dall’astrazione alla figurazione, sotto l’egida degli ideali numi tutelari Jean Cocteau, Filippo de Pisis e Osvaldo Licini, ma anche Schifano (scrive Levi di quest’ultimo: “Ammiravo il suo dripping, lo sgocciolamento dei colori, lo sfuocare la pittura appena fatta e l’indifferenza al preziosismo”). Dalle tele affiorano tracce e brandelli della quotidianità, corpi di amici, amori e compagni di strada, la cui evanescenza induce a interrogarsi sull’idea di corpo e sulla sua percezione.
Tale astrazione segnica ritorna in A Roberto (1983), uno spray su tela probabilmente debitore dell’avvicinarsi di Levi al graffitismo e alla vivacità della scena culturale dell’East Village (“Mi avvelenai con gli spray”, racconta Levi rispetto agli anni trascorsi a New York).
Fantasmatiche presenze sono gli Uomini di Corrado Levi, intervento site-specific realizzato nel 1985 nello stabile abbandonato dell’azienda Brown Boveri. Levi, attraverso la semplice aggiunta della scritta “di Corrado Levi” sulla porta del bagno degli uomini, gioca con l’idea della firma dell’artista e compie un gesto di appropriazione sospeso tra desiderio e humour.
Un corpo non alluso – anzi malizioso e ammiccante, ingenuamente sensuale e spudorato – è invece quello fotografato in Radio Amico (1986), le cui pose sembrano rievocare tanto i nudi e le torsioni di Pontormo quanto le chine su carta di Levi Operai in riposo ed Eroe seduto del 1948. La radio è un altro elemento ricorrente, se si pensa a 5 Philips accese (1986). Qui la figura umana scompare e lascia spazio a cinque radio accese contemporaneamente, sottratte alla quotidianità per farsi intreccio sonoro di armonie e cacofonie inaspettate derivate dalla sovrapposizione continua di suoni, parole e musica. Una metafora della complessità della varietà e della fertile commistione/confusione di linguaggi e visioni che scaturisce dall’unione delle diversità. Quelle diversità – “un fatto politico” – esaltate da Levi in tutto il suo percorso artistico e di vita.
Non a caso Arte come differenza si intitolava la precedente personale di Levi del 2017 da RIBOT gallery. Perché la differenza è ricchezza e, come l’arte – “portatrice di scommessa” e non “portatrice di verità” –, è anche un azzardo. E questo si conferma oggi uno dei principali insegnamenti di Corrado Levi.
Damiano Gullì
Corrado Levi è architetto, artista, intellettuale, agitatore culturale, critico, curatore, collezionista. Nato a Torino, Levi vive e lavora a Milano. Durante il periodo nazifascista fu nascosto per questioni razziali da Felice Casorati fra i suoi allievi alla Accademia Albertina di Torino. Allievo di Carlo Mollino e Franco Albini, è stato docente di composizione architettonica alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove nei suoi corsi ha invitato personalità molto diverse tra loro, da Richard Long ad Alighiero Boetti, da Rammellzee a Ringo, fino al dj Nicola Guiducci. Dagli anni ottanta Levi ha iniziato a curare alcune mostre ospitate all’interno del suo studio a Milano e in istituzioni culturali, tra le quali Il Cangiante.
Come architetto ha svolto attività professionale a Torino, a Milano e a Marrakech e ha pubblicato Trattatino di architettura (Tranchida, Milano, 1993) e Tiro al bersaglio su problemi di architettura (Tranchida, Milano, 1994). Sul suo lavoro di artista ha pubblicato Teoria e lavori. Arte 1982-1996 (Giancarlo Politi Editore, Milano, 1996) e Vedere l’arcobaleno con la coda dell’occhio (Charta, Milano, 2002). La sua attività critica tra arte e architettura vede la pubblicazione di Una diversa tradizione (CLUP, Milano, 1985) e di È andata così (Electa, Milano, 2009), mentre la sperimentazione linguistica trova in Canti spezzini (Chimera, Milano, 1986) e Marrakech Teoria (Cadmo, Firenze, 2004) i momenti di maggiore intensità.
Della sua profonda conoscenza del mondo dell’arte contemporanea ha scritto in Mes amis! Mes amis! (Corraini Edizioni, Mantova, 2007). Nel 2020 con Corraini Edizioni ha pubblicato Come ti quando? Am I a gymnast or an artist? e Novità in casa. Ha vinto il Premio In-Arch Piemonte per l’architettura. Sue opere sono state esposte in gallerie private, musei e istituzioni italiani e internazionali. Del 2020 la personale Tra gli spazi, a cura di Joseph Grima e Damiano Gullì, in Triennale Milano.
Luoghi
http://www.ribotgallery.com +39 347 050 93 23