Claudio Abate & Achille Bonito Oliva
Il 26 ottobre 2017 viene presentata in galleria la cartella di 10 opere grafiche di Achille Bonito Oliva, stampata da Artestudio Macerata di Pio Monti nel 1972. La fotografia di Achille Bonito Oliva che si ripete in tutti i 10 fogli di cui si compone la cartella, è stata fatta da Claudio Abate e con questo facciamo un omaggio anche al grande fotografo.
“Claudio Abate è stato un mio compagno di strada e felice testimone a carico della mia avventura culturale. Ha documentato generosamente tutta la mia attività espositiva e illustrato a futura memoria il mio protagonismo critico. Con il suo occhio benevolo e intransigente ha celebrato la mia identità di critico creativo. Questa cartella del 1972 edita da Pio Monti, testimonia precocemente la centralità di un ruolo prima considerato laterale rispetto a quello dell’artista. La sequenza fotografica conferma il nostro sodalizio e una complicità esistenziale che è rimasta nel tempo”. (Achille Bonito Oliva)
AUTOCRITICA
Anche la critica, quale gesto sovrastrutturale, partecipa al sistema sovrastrutturale dell’arte.
Finora essa ha investigato sulla specificità del linguaggio/messaggio artistico, vivendo una situazione di lateralità rispetto alla centralità dell’esperienza artistica.
Così la critica aveva accettato e convalidato il proprio destino: deviare l’opera dalla propria autonomia per integrarla nel sistema dell’arte dunque dal “dentro” al “fuori”.
E il “fuori” non coincide con il mondo, ma ancora con la cultura e quindi con una sorta di coscienza infelice di non poter essere se non il doppio, trasferito disegno, dell’opera stessa.
Se pure è vero che la critica, attraverso un rapporto dialettico con l’opera, può costituire un accrescimento di significato, nella collocazione politica e sociale dell’arte oggi, il comportamento del critico e dell’artista vivono un rapporto verticalizzato: il potere del critico sull’artista.
Il ruolo del critico ora deve consistere anche nell’esibire ed investigare la propria ideologia, quale contraddizione tipica tra la “neutralità” del momento di analisi puntuale dell’opera e l’inevitabile “parzialità” di una gestione di potere selettivo e discriminante.
Il comportamento del critico deve, a mio avviso, puntualizzare (e tanto più oggi che l’arte occupa anche lo spazio della riflessione critica) questa contraddizione storica e politica: l’antico mito della mediazione tra opera e fruitore (l’arte vissuta per interposta persona) e un reale esercizio di potere culturale vissuto in prima persona.
L’autosegnalazione significa quindi la consapevolezza velenosa e narcisista che solo attraverso la tautologia, la pura esibizione di se stessa, la critica assolve ideologicamente il proprio compito.
“Claudio Abate è stato un mio compagno di strada e felice testimone a carico della mia avventura culturale. Ha documentato generosamente tutta la mia attività espositiva e illustrato a futura memoria il mio protagonismo critico. Con il suo occhio benevolo e intransigente ha celebrato la mia identità di critico creativo. Questa cartella del 1972 edita da Pio Monti, testimonia precocemente la centralità di un ruolo prima considerato laterale rispetto a quello dell’artista. La sequenza fotografica conferma il nostro sodalizio e una complicità esistenziale che è rimasta nel tempo”. (Achille Bonito Oliva)
AUTOCRITICA
Anche la critica, quale gesto sovrastrutturale, partecipa al sistema sovrastrutturale dell’arte.
Finora essa ha investigato sulla specificità del linguaggio/messaggio artistico, vivendo una situazione di lateralità rispetto alla centralità dell’esperienza artistica.
Così la critica aveva accettato e convalidato il proprio destino: deviare l’opera dalla propria autonomia per integrarla nel sistema dell’arte dunque dal “dentro” al “fuori”.
E il “fuori” non coincide con il mondo, ma ancora con la cultura e quindi con una sorta di coscienza infelice di non poter essere se non il doppio, trasferito disegno, dell’opera stessa.
Se pure è vero che la critica, attraverso un rapporto dialettico con l’opera, può costituire un accrescimento di significato, nella collocazione politica e sociale dell’arte oggi, il comportamento del critico e dell’artista vivono un rapporto verticalizzato: il potere del critico sull’artista.
Il ruolo del critico ora deve consistere anche nell’esibire ed investigare la propria ideologia, quale contraddizione tipica tra la “neutralità” del momento di analisi puntuale dell’opera e l’inevitabile “parzialità” di una gestione di potere selettivo e discriminante.
Il comportamento del critico deve, a mio avviso, puntualizzare (e tanto più oggi che l’arte occupa anche lo spazio della riflessione critica) questa contraddizione storica e politica: l’antico mito della mediazione tra opera e fruitore (l’arte vissuta per interposta persona) e un reale esercizio di potere culturale vissuto in prima persona.
L’autosegnalazione significa quindi la consapevolezza velenosa e narcisista che solo attraverso la tautologia, la pura esibizione di se stessa, la critica assolve ideologicamente il proprio compito.