Christian Cremona “La Luce”
A cura di: Gabriella Brembati - testo critico di Luca Pietro Nicoletti
L’annosa questione del rapporto fra pittura e fotografia è ormai un classico della storiografia, che finalmente ha chiarito come lo scambio fosse reciproco e paritario: tanto la pittura deve alla visione monoculare della macchina fotografica, tanto questa, come suggerisce il lavoro di Christian Cremon, diventa un modo di rappresentare e modellare la luce dando credito a quelle ricerche aniconiche tese a una rappresentazione trascendentale. La ricerca fotografica di Christian, che volentieri non disdegna l’ibridazione della stampa digitale con interventi di pittura e di materia o con elementi di assemblaggio, sarebbe incomprensibile senza queste prevedenti ricerche sulla smaterializzazione dell’immagine. La luce-colore dissolvente, che evoca segni e presenza, è una indicazione di profondità e di spazio. Ci si deve infatti chiedere quale sia la posizione dell’osservatore nei confronti di queste fotografie, e ci si renderà conto che laddove egli si limita al solo intervento fotografico si verifica una oscillazione fra l’immersione atmosferica e la contemplazione distaccata di una rappresentazione risolta sul piano. Come ha osservato Claudio Cerritelli, Christian Cremona “modella la luce” con la fotografia fermando l’aspetto inafferrabile degli oggetti e trasformandoli in cangianze di colore. Allo stesso tempo, però, questa dissolvenza è come una membrana trasparente che si muove col ritmo di un respiro, o una macchia isolata e circoscritta entro un perimetro preciso. Il punto centrale, però, non è tanto la modalità operativa, quanto il fatto che Christian utilizzi gli strumenti del linguaggio aniconico senza intenzioni analitiche, bensì con uno spirito e un respiro emotivo di fondo: l’atmosfera, nella sua diafana manifestazione, non è altro che uno stato d’animo, una luce del profondo che punta verso una dimensione altra, luminosa e purificata.
Luoghi
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orario: tutti i giorni