Carl Grossberg. Visionarietà oggettiva
A cura di: Antonello Negri
La Galleria Milano presenta per la prima volta in Italia una personale di Carl Grossberg, esponente di punta della Nuova Oggettività. Molto apprezzato negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, nel nostro paese è stato fino ad oggi poco conosciuto: solo Emilio Bertonati, della milanese Galleria del Levante, contribuì alla divulgazione del suo lavoro con l’importante mostra del 1968 Aspetti della “Nuova Oggettività”.
Grossberg nasce nel 1894 ad Elberfeld. Frequenta la facoltà di Architettura prima ad Aquisgrana e successivamente a Darmstadt, ma i suoi studi vengono interrotti bruscamente dall’arruolamento durante la Prima Guerra Mondiale. A questo duro periodo consegue la prima crisi interiore di Carl, che viene congedato dopo essere stato ferito. Nel 1918 è a Weimar e studia al Bauhaus con Lyonel Feininger. Negli anni Venti intraprende viaggi di studio nella Germania Meridionale, e raggiunge Würzburg, una zona prettamente industriale: sono questi paesaggi meccanizzati ad ispirare i soggetti della sua arte e la sua personale lettura all’interno della Nuova Oggettività. Grossberg si concentra sulla solitudine delle cose che ritrae con precisione ossessiva, metallica ma che al di là dell’apparente tecnicità ne svela tutto il romanticismo. Per il suo stile e le sue tematiche attira l’attenzione delle aziende, che gli commissionano molti lavori. Tra il 1933 e il 1934, a fronte del successo riscosso, si focalizza sull’Industrieplan, un ciclo di 20-25 opere in grande formato che avrebbero dovuto offrire una visione d’insieme delle più grandi industrie della Germania. Ma deve fare i conti con la grande crisi che il mondo, e il suo paese in particolare, sta affrontando. Inizia un altro periodo buio per l’artista, che si trova in difficoltà economiche. Molti amici intellettuali emigrati in America gli consigliano di raggiungerli, ma quando trova il modo di partire, nel 1939, viene richiamato alle armi. Inviato in Polonia nelle truppe di occupazione, rimane profondamente colpito dalle condizioni della popolazione assediata, che cerca di aiutare. Muore l’anno dopo in un incidente d’auto a Laon, mentre torna in patria per un breve congedo.
Il pittore, dopo un periodo di oblio, viene riscoperto negli anni Sessanta, con l’avvento della Pop Art. Grossberg è lungimirante per i suoi tempi: lo sviluppo tecnologico, così determinante allora, viene tuttavia rifiutato dal mondo dell’arte, ancora ancorato ad un ripiegamento interiore espressionista. Come esponente della Nuova Oggettività vuole riportare sulle sue tele e nei suoi disegni il momento, nella sua attualità. Ma se gli altri artisti riconducibili a questa tendenza, tra cui Schlichter, Dix e Hubbuch, prediligono personaggi e fatti della vita sociale, la produzione artistica di Grossberg «sta (quasi) tutta dalla parte del ferro e della nuova bellezza evocata tanto dalle architetture industriali e razionali, quanto dalle macchine in sé» (Antonello Negri, Carl Grossberg, catalogo della mostra, Galleria Milano, Milano 2014). È dunque nella geometria delle linee, nelle réclames affisse sui muri, nella brillantezza delle cromature, nella nuova eleganza dei mobili di acciaio che trova il suo entusiasmo, la stabilità nel difficile periodo tra le due guerre e la speranza verso un’umanità migliore. Umanità che alla fine, tuttavia, lo delude irrimediabilmente: «Un anno di guerra mi ha cambiato […] se dovessi sedere ancora una volta al cavalletto i miei lavori non sarebbero più un inno ai nostri tempi e alla vita, ma cupi. L’avevo sempre temuto», confida in una lettera all’amico Justus Bier l’anno della sua morte.
Catalogo a colori con un testo di Antonello Negri
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