Barbara Luisi. Fragilità
A cura di: Manuela De Leonardis
Corpi che s’intrecciano dando forma a passi di una danza virtuale, dialoghi serrati di sguardi: la serie Fragilità (2013-2015) definisce il senso d’intimità, lasciando affiorare tracce di un erotismo non affatto provocatorio. Spesso sono le mani e i piedi le parti del corpo catalizzanti. La confidenza, di cui Barbara Luisi viene resa partecipe, nasce da gesti istintivi e improvvisi dei modelli (non professionisti), piuttosto che da esigenze del set fotografico, dalle loro parole sussurrate e dal modo in cui si muovono nell’oscurità del suo studio, “ognuno esprimendo i propri sentimenti dell’essere chiusi in sé.” Una libertà incondizionata - percepibile - che entra, quindi, nella costruzione dell’immagine. Fragilità intesa più che come condizione psicologica di qualcosa tendenzialmente labile, nelle sue potenzialità di dono, del segreto da proteggere.
Fonte inesauribile d’ispirazione, accanto alla natura, l’arte in tutte le sue declinazioni attraverso i secoli. Soprattutto quella che si respira a Roma, dove Luisi si reca a 18 anni quando inizia a fotografare. La Pietà di Michelangelo - quella naturalezza composta delle figure e l’aspirazione alla perfezione delle forme - è un modello che tornerà nel tempo, insieme alla teatralità nell’uso della luce tipicamente caravaggesca e alla sensualità palpitante e ambigua che trapela dalle sculture di Bernini, tanto più quando il soggetto è l’Estasi di Santa Teresa.
L’eredità della classicità - assorbita e rielaborata nel tempo - è sintetizzata da un’opera emblematica come il Torso di Discobolo (restaurato come guerriero ferito) dei Musei Capitolini, copia marmorea del I sec d.C. da Mirone, restaurata e re-interpretata tra il 1658 e il 1733 dallo scultore francese Pierre-Etienne Monnot, in cui la tensione dello slancio è già catturata dal momento successivo.
Il linguaggio del bianco e nero, attraverso l’utilizzo della pellicola, stampando prevalentemente alla gelatina ai sali d’argento su carta baritata o a pigmenti - talvolta anche al platino - è una necessità che porta la fotografa all’interpretazione del reale attraverso una riduzione degli elementi. Proprio come avviene nella musica, dove innumerevoli possibilità si esprimono attraverso la combinazione di solo sette note.
Fonte inesauribile d’ispirazione, accanto alla natura, l’arte in tutte le sue declinazioni attraverso i secoli. Soprattutto quella che si respira a Roma, dove Luisi si reca a 18 anni quando inizia a fotografare. La Pietà di Michelangelo - quella naturalezza composta delle figure e l’aspirazione alla perfezione delle forme - è un modello che tornerà nel tempo, insieme alla teatralità nell’uso della luce tipicamente caravaggesca e alla sensualità palpitante e ambigua che trapela dalle sculture di Bernini, tanto più quando il soggetto è l’Estasi di Santa Teresa.
L’eredità della classicità - assorbita e rielaborata nel tempo - è sintetizzata da un’opera emblematica come il Torso di Discobolo (restaurato come guerriero ferito) dei Musei Capitolini, copia marmorea del I sec d.C. da Mirone, restaurata e re-interpretata tra il 1658 e il 1733 dallo scultore francese Pierre-Etienne Monnot, in cui la tensione dello slancio è già catturata dal momento successivo.
Il linguaggio del bianco e nero, attraverso l’utilizzo della pellicola, stampando prevalentemente alla gelatina ai sali d’argento su carta baritata o a pigmenti - talvolta anche al platino - è una necessità che porta la fotografa all’interpretazione del reale attraverso una riduzione degli elementi. Proprio come avviene nella musica, dove innumerevoli possibilità si esprimono attraverso la combinazione di solo sette note.
Luoghi
http://www.actainternational.it 064742005
direzione : Giovanna Pennacchi - orario: dal martedì al sabato ore 16.00 – 19.30