Barbara Brugola / Trond Arne Vangen. The stone in my mouth is a bait
La galleria Muratcentoventidue Artecontemporanea prosegue il suo percorso espositivo con la mostra intitolata “THE STONE IN MY MOUTH IS A BAIT ” che nasce dalla collaborazione di Barbara Brugola con l’artista norvegese Trond Arne Vangen.
I due artisti riflettono sull’esperienza della violenza fisica e psicologica di cui spesso sono vittime le donne, investigando quel territorio oscuro rappresentato dall’evento traumatico.
Il trauma può essere definito un evento inaspettato e troppo intenso che irrompe nella vita psichica di un soggetto interrompendo la trama narrativa del suo vissuto; il fatto che sia inaspettato e violento fa sì che per il soggetto diventi difficile integrarlo nella memoria del suo vissuto dandogli un senso.
Tale evento lascia una cicatrice nell’inconscio del soggetto e riaffiora in superficie, inaspettatamente, quando una causa, magari insignificante, ha l’effetto di riportarlo alla consapevolezza e creare sofferenza. Non importa quanto si tenti di tradurre questo disagio attraverso il linguaggio: ci sono sempre dei residui che funzionano come innesco per inscenare di nuovo la risposta all’evento traumatico passato.
Da qui nasce il progetto della mostra THE STONE IN MY MOUTH IS A BAIT che ha visto la collaborazione dei due artisti nel mettere a punto un dispositivo per catturare brandelli, tracce, suggestioni di ciò che è rimasto nascosto, depositato, in parte assorbito ma non inerte.
Il pre-testo di questo lavoro è stato Le déjeuner sur l’herbe di Manet dove sono raffigurati, intenti in una colazione all’aria aperta tre personaggi, tra i quali una donna svestita che sembra la sola a rivolgere lo sguardo a ciò che le sta di fronte.
In mostra è presente la doppia proiezione video “ Pic nic” dove è stata messa in scena un’altra colazione sull’erba che ha come protagonista una figura femminile mentre altri personaggi sono solamente evocati. Fare un pic nic è per definizione un momento di piccoli scambi e condivisioni, una sorta di spazio e tempo deputato alla ricreazione e al nutrimento.
Pic nic si snoda partendo da un’atmosfera leggera che presto cambia in inquietante, rivelando che, sotto l’apparente tranquillità della superficie, è sempre presente un interruttore che premuto, sollecita timore e sconforto. Alimenti appetitosi sono in sequenza con altri poco appetibili e la bocca che gusta il cibo è scossa da una tosse persistente e via via sempre più molesta. Nel video piacere e soddisfazione collidono con repulsione e disgusto rammentando che spesso le esperienze legate ai sensi del corpo sono potenti e capaci di creare nuovi spazi di interpretazione della realtà.
The Basket combina le ganasce metalliche di una trappola per volpi con i vimini con cui è costruito un cestino da pic nic, connettendo la valenza negativa e positiva associata ai due oggetti iniziali di cui mantiene entrambe le funzionalità. The Cloth è invece un’installazione di pietre dipinte sparse sul pavimento della galleria. Entrambe le opere si ispirano al lavoro video e sono stati create da Trond Arne Vangen accostando e combinando frammenti di realtà: hanno ancora l’apparenza degli oggetti del vivere quotidiano ma ne hanno perso la semplice tranquillità.
In mostra ci sono tre stampe fotografiche di Barbara Brugola ispirate a materiale scattato da fototrappole, quei dispositivi che associano alla classica fotocamera un sensore che scatta al passaggio di un essere vivente. Le immagini così ottenute non sempre catturano e mettono in posa ciò di cui si cerca traccia ma indubbiamente riescono a fermare un istante sul quale, né chi viene ripreso , né chi ha messo a punto la trappola, ha potuto esercitare un controllo.
Il dispositivo messo a punto dai due artisti risulta, come prevedibile, più allestimento scenico del proposito iniziale che strumento efficace per fissare ciò che è elusorio per natura, offrendo però allo sguardo di chi sta di fronte la possibilità di partecipare alla visione e produrre significato.
I due artisti riflettono sull’esperienza della violenza fisica e psicologica di cui spesso sono vittime le donne, investigando quel territorio oscuro rappresentato dall’evento traumatico.
Il trauma può essere definito un evento inaspettato e troppo intenso che irrompe nella vita psichica di un soggetto interrompendo la trama narrativa del suo vissuto; il fatto che sia inaspettato e violento fa sì che per il soggetto diventi difficile integrarlo nella memoria del suo vissuto dandogli un senso.
Tale evento lascia una cicatrice nell’inconscio del soggetto e riaffiora in superficie, inaspettatamente, quando una causa, magari insignificante, ha l’effetto di riportarlo alla consapevolezza e creare sofferenza. Non importa quanto si tenti di tradurre questo disagio attraverso il linguaggio: ci sono sempre dei residui che funzionano come innesco per inscenare di nuovo la risposta all’evento traumatico passato.
Da qui nasce il progetto della mostra THE STONE IN MY MOUTH IS A BAIT che ha visto la collaborazione dei due artisti nel mettere a punto un dispositivo per catturare brandelli, tracce, suggestioni di ciò che è rimasto nascosto, depositato, in parte assorbito ma non inerte.
Il pre-testo di questo lavoro è stato Le déjeuner sur l’herbe di Manet dove sono raffigurati, intenti in una colazione all’aria aperta tre personaggi, tra i quali una donna svestita che sembra la sola a rivolgere lo sguardo a ciò che le sta di fronte.
In mostra è presente la doppia proiezione video “ Pic nic” dove è stata messa in scena un’altra colazione sull’erba che ha come protagonista una figura femminile mentre altri personaggi sono solamente evocati. Fare un pic nic è per definizione un momento di piccoli scambi e condivisioni, una sorta di spazio e tempo deputato alla ricreazione e al nutrimento.
Pic nic si snoda partendo da un’atmosfera leggera che presto cambia in inquietante, rivelando che, sotto l’apparente tranquillità della superficie, è sempre presente un interruttore che premuto, sollecita timore e sconforto. Alimenti appetitosi sono in sequenza con altri poco appetibili e la bocca che gusta il cibo è scossa da una tosse persistente e via via sempre più molesta. Nel video piacere e soddisfazione collidono con repulsione e disgusto rammentando che spesso le esperienze legate ai sensi del corpo sono potenti e capaci di creare nuovi spazi di interpretazione della realtà.
The Basket combina le ganasce metalliche di una trappola per volpi con i vimini con cui è costruito un cestino da pic nic, connettendo la valenza negativa e positiva associata ai due oggetti iniziali di cui mantiene entrambe le funzionalità. The Cloth è invece un’installazione di pietre dipinte sparse sul pavimento della galleria. Entrambe le opere si ispirano al lavoro video e sono stati create da Trond Arne Vangen accostando e combinando frammenti di realtà: hanno ancora l’apparenza degli oggetti del vivere quotidiano ma ne hanno perso la semplice tranquillità.
In mostra ci sono tre stampe fotografiche di Barbara Brugola ispirate a materiale scattato da fototrappole, quei dispositivi che associano alla classica fotocamera un sensore che scatta al passaggio di un essere vivente. Le immagini così ottenute non sempre catturano e mettono in posa ciò di cui si cerca traccia ma indubbiamente riescono a fermare un istante sul quale, né chi viene ripreso , né chi ha messo a punto la trappola, ha potuto esercitare un controllo.
Il dispositivo messo a punto dai due artisti risulta, come prevedibile, più allestimento scenico del proposito iniziale che strumento efficace per fissare ciò che è elusorio per natura, offrendo però allo sguardo di chi sta di fronte la possibilità di partecipare alla visione e produrre significato.
Luoghi
www.muratcentoventidue.com 393.8704029
Orario di apertura: dal martedì al sabato, dalle 17 alle 20