Antonio Persichini. Geometrie possibili ed impossibili "origami"
A cura di: Pippo Cosenza
C’è un universo di forme astratte pronto a liberarsi dalla gabbia della razionalità. Materia contenuta nella parte più profonda dell’ingegno che nel lavoro di Antonio Persichini è organizzata in ordinate strutture geometriche: non singoli elementi disgiunti, ma ben assestate conformazioni cristalline. E proprio alla natura dei cristalli sembra inconsciamente alludere la pittura dell’artista folignate, intento a originare lavori dove una misteriosa energia sub-cutanea regola razionalmente elementi all’apparenza irrazionali. Un linguaggio le cui radici attingono alla linfa della tradizione astrattista anni sessanta-settanta: dalla razionalità di Eugenio Carmi e Achille Perilli, al dinamismo post-balliano di Piero Dorazio, passando attraverso il rigore minimalista di Sol LeWitt, che proprio tra Foligno e Spoleto lasciò numerose e significative tracce della sua permanenza in Umbria.Persichini condivide con essi un deciso rigore tecnico e speculativo, dove nessuna opera è mai lasciata al caso e ogni particolare è trattato con la massima attenzione: dai dettagli interni alla pittura, alla stesura e selezione del colore, fino alla scelta e realizzazione delle cornici. Tutto è eseguito dall’artista, unico padre e padrone del lavoro; unico responsabile della sua riuscita. Questo rigore e responsabilità ci spingono alla riflessione non solo sul metodo ma anche sull’essere, considerando ogni singolo dipinto come la testimonianza tangibile di un artista capace di giocare con l’arte pur trattandola come la più seria delle attività. Si dipana pertanto la matassa di un discorso artistico dove il riferimento alle geometrie “possibili” e “impossibili” prende la strada del mettersi in equilibrio fra razionale e irrazionale, fino a condurci nella cultura dell’origami, antica arte giapponese in cui il gioco diventa concreto esercizio di metodo.
Non è un caso se architetti e designer contemporanei hanno ampiamente attinto a tale pratica (fra gli innumerevoli esempi ricordiamo il Melbourne Theatre degli architetti Ashton Raggatt & McDougall e il museo dedicato ad Akira Yoshizawa, il più grande maestro giapponese di quest’arte, concepito proprio come un grande origami) ed è seguendo queste coordinate che Persichini ne individua inconsciamente il segno. Con l’opera Origami 1, entrando nello specifico del suo lavoro, le forme geometriche si sviluppano attraverso l’orizzontalità della superficie pittorica, esprimendo la vitalità del gioco, quasi a voler mostrare davanti ai nostri occhi le continue trasformazioni in atto. Attingendo a queste dinamiche l’artista organizza i dipinti su tre costanti: gesto, geometria e segno. Le forme colorate si stagliano fra l’essenzialità del bianco e nero, quasi a comunicare l’azione del vivere negli insormontabili confini dell’Alfa e Omega. Nelle opere Spazio impossibile A e Spazio impossibile B, ad esempio, ventagli dinamici di strutture caleidoscopiche danzano in questa fascia centrale, esaltate nel contrasto prodotto dall’accostamento dei colori al bianco e nero. Ma anche dove la materia di fondo si presenta piatta scopriamo una grammatica costituita da segni e tocchi di pennello capaci di conferire movimento alle masse. La materia di fondo non è mai inerte, il bianco perlaceo e il nero catrame vibrano attraverso una vitalità costante conferita proprio dall’esercizio di gesto e segno. L’intenzione è quella di fermare l’idea nel suo stesso farsi e in un certo senso cristallizzare la forma in virtù della relazione fra rigidità della costruzione pittorica e libertà espressiva. Una pratica da tempo perseguita, come raccontano i due acquerelli del 1986 intitolati Microcosmo, in cui le sovrapposizioni cromatiche originano un gioco di movimenti sinuosi permettendo al colore di vivere nello spazio neutro dello sfondo cartaceo.
Tutto questo rimanda alla dimensione del rapporto fra possibile e impossibile, e proprio l’arte, dando forma a ciò che forma non avrebbe, ci spinge alla conclusione che in natura l’impossibilità non esiste. In tutto questo risulta decisivo il mondo dell’infanzia e a tale proposito Persichini non nega l’importanza che la nascita del figlio ha avuto per la sua ispirazione. Ne è testimonianza una piccola opera intitolata Aquilone dove, con attenta analisi pittorica e guardando nuovamente alle culture orientali, rinveniamo il legame fra gioco e arte, quale istinto primordiale e pratica ancestrale finalizzata alla maturazione di una futura coscienza morale.
Dunque, se l’impossibile non esiste – almeno in arte –, non resta che parlare di geometrie possibili. Nel far questo l’artista presenta una serie di otto tavole dedicate al paesaggio umbro, dove il tema dell’origami si collega a suggestioni reali. Come quando, proprio con questa tecnica, si rappresentano elementi animali, floreali o oggetti in genere, suscitando la meraviglia di poter ricostruire il mondo attraverso un semplice foglietto di carta. Si tratta di Paesaggi collinari umbri in cui le geometrie risentono delle forme e dei colori naturali della regione, generando allusioni al movimento collinare. Sembra quasi di vederle danzare – le colline – in una costante costruzione e decostruzione, quasi ricordandoci dei movimenti tettonici cui sono sottoposte. Un’inedita interpretazione dell’ambiente naturale che fuoriesce dalle consuete mappe del paesaggismo locale, aprendo nuovi spiragli nella restituzione dell’immagine e vivendo adesso di quella libertà cui l’arte da sempre ambisce, ma per la quale resta necessario un lavoro costante portato avanti con serietà e necessaria abnegazione.
Andrea Baffoni