Angela Maria Piga "Approdo"
A cura di: Daina Maja Titonel - testo critico di Marco Di Capua
La MAC Maja Arte Contemporanea è lieta di ospitare, a partire da giovedì 4 ottobre 2018 in via di Monserrato 30 a Roma, la prima personale della scultrice Angela Maria Piga, presentando per la prima volta al pubblico una selezione di opere inedite in ceramica realizzate tra il 2017 e il 2018.
Nata a Roma nel 1968, Angela Maria Piga giunge all’arte visiva attraverso un percorso di tipo letterario e curatoriale. Dapprima gallerista d’arte quindi giornalista nel settore di arte e architettura oltre che autrice, dopo più di venti anni spesi nell’osservazione continua e costante dei fenomeni e delle forme artistiche, nel 2017 decide di “passare dall’osservazione all’azione” dando il via ad un’intensa attività attraverso il lavoro con la ceramica.
Osserva l’artista: “Se nella scrittura la narrazione crea forme immaginarie, nella scultura la forma crea narrazioni. Opposto il procedimento, simile l’esito: dalla parola scritta alla forma plasmata si creano mondi a sé stanti. I mondi da cui provengono le mie sculture e i gruppi di sculture possono essere letti attraverso lenti letterarie quali le Maschere nude pirandelliane, i paradossi tragi-comici di Gogol e lo straniamento kafkiano ma, se evocano un’affinità col senso del paradosso e dell’assurdo, restano pur sempre confinati in un contesto drammatico, volti o corpi emersi da un sostrato quasi sub-umano in cui esseri afoni e incompiuti tentano una loro riconciliazione con il mondo alfabetizzato e relazionale della realtà.”
La bocca gioca un ruolo importantissimo in questo lavoro, “è l’elemento generatore, il minutissimo, concentrato big bang di ogni scultura”, annota Marco Di Capua in catalogo.
“All’improvviso da una fessura dell’argilla si crea un cenno, un segno che diventa segnale, una feritoia che rivela una ferita, smorfia dell’esistenza individuale, come la fessura della bocca, molte volte comincio da lì” – racconta l’artista – “veicolo per creature in cerca di parola e suono, ed ecco affiorare repentina una personalità, un’affermazione, il personaggio è nato e incalza per emergere dalla materia. Io lo aiuto a fare il prima possibile: un approdo dalla materia, e alla materia.”
Sempre Di Capua: “C’è qualcosa di mite e arcaico in queste piccole figure che non vanamente aprono bocca e in coro spargono nell’aria silenziosissimi canti e voci, non è la bocca disperata sul pontile di Edvard Munch, né quella che la seguì come un’eco furibonda, dai volti dei Papi ingabbiati da Francis Bacon, ma quella dell’uomo che canta di Ernst Barlach, quella pace lì mi viene in mente, quella tenacia, addirittura autoironica, di un’azione inevitabile, che vuole svolgersi a dispetto di tutto. Perché canti? Perché sì!”
Da dove sono venuti questi esseri che l’artista definisce a volte come ominidi, altre come “il mio esercito”, altre ancora come “il villaggio”?
“[…] ognuno potrà dire la sua” - prosegue Di Capua - “ed evocare ciò che d’istinto gli suggerisce la vista di queste così magiche presenze. A me sembrano scaturite da un mondo liquido, che insomma abbiano a che fare con esso: lava raffreddata (con un grazie ancora per tutto, a Leoncillo e al primo Fontana), piccoli, puntuti scogli, una barriera corallina (è una questione di splendore cromatico, oltreché di questa loro ramificazione biomorfica, che mi ci fanno pensare) composta da elementi fisicamente minuti ma tacitamente alleati gli uni con gli altri, in grado di concatenarsi facilmente voglio dire, frammenti di un (potenzialmente infinito) discorso amorosamente scultoreo…”
I colori hanno un ruolo essenziale nel qualificare ciascuna personalità; nondimeno i titoli, come evidenzia infine Di Capua: “Ma che personaggi, e che attori che sono: eccoli qui, mentre ci presentano le loro credenziali: Il Cavaliere Azzurro, lo Sciamano, il Pugile, L’uomo che ride (da Victor Hugo), un Re David risolutamente antimichelangiolesco, L’inquilino (del terzo piano, di Roman Polanski), e una Pietà; ma abbiamo anche il Contabile, il Giudice, con riflessi da Pirandello ma anche da Le anime morte di Gogol o da una qualche tellurica Spoon River...
E quanto si atteggiano e simulano queste maschere, come sono consapevoli della loro teatralità […] Perciò, ora, non meno fantasticamente di come li avrebbe incitati Alberto Savinio: narrate (piccoli grandi) uomini, la vostra storia.”
Nata a Roma nel 1968, Angela Maria Piga giunge all’arte visiva attraverso un percorso di tipo letterario e curatoriale. Dapprima gallerista d’arte quindi giornalista nel settore di arte e architettura oltre che autrice, dopo più di venti anni spesi nell’osservazione continua e costante dei fenomeni e delle forme artistiche, nel 2017 decide di “passare dall’osservazione all’azione” dando il via ad un’intensa attività attraverso il lavoro con la ceramica.
Osserva l’artista: “Se nella scrittura la narrazione crea forme immaginarie, nella scultura la forma crea narrazioni. Opposto il procedimento, simile l’esito: dalla parola scritta alla forma plasmata si creano mondi a sé stanti. I mondi da cui provengono le mie sculture e i gruppi di sculture possono essere letti attraverso lenti letterarie quali le Maschere nude pirandelliane, i paradossi tragi-comici di Gogol e lo straniamento kafkiano ma, se evocano un’affinità col senso del paradosso e dell’assurdo, restano pur sempre confinati in un contesto drammatico, volti o corpi emersi da un sostrato quasi sub-umano in cui esseri afoni e incompiuti tentano una loro riconciliazione con il mondo alfabetizzato e relazionale della realtà.”
La bocca gioca un ruolo importantissimo in questo lavoro, “è l’elemento generatore, il minutissimo, concentrato big bang di ogni scultura”, annota Marco Di Capua in catalogo.
“All’improvviso da una fessura dell’argilla si crea un cenno, un segno che diventa segnale, una feritoia che rivela una ferita, smorfia dell’esistenza individuale, come la fessura della bocca, molte volte comincio da lì” – racconta l’artista – “veicolo per creature in cerca di parola e suono, ed ecco affiorare repentina una personalità, un’affermazione, il personaggio è nato e incalza per emergere dalla materia. Io lo aiuto a fare il prima possibile: un approdo dalla materia, e alla materia.”
Sempre Di Capua: “C’è qualcosa di mite e arcaico in queste piccole figure che non vanamente aprono bocca e in coro spargono nell’aria silenziosissimi canti e voci, non è la bocca disperata sul pontile di Edvard Munch, né quella che la seguì come un’eco furibonda, dai volti dei Papi ingabbiati da Francis Bacon, ma quella dell’uomo che canta di Ernst Barlach, quella pace lì mi viene in mente, quella tenacia, addirittura autoironica, di un’azione inevitabile, che vuole svolgersi a dispetto di tutto. Perché canti? Perché sì!”
Da dove sono venuti questi esseri che l’artista definisce a volte come ominidi, altre come “il mio esercito”, altre ancora come “il villaggio”?
“[…] ognuno potrà dire la sua” - prosegue Di Capua - “ed evocare ciò che d’istinto gli suggerisce la vista di queste così magiche presenze. A me sembrano scaturite da un mondo liquido, che insomma abbiano a che fare con esso: lava raffreddata (con un grazie ancora per tutto, a Leoncillo e al primo Fontana), piccoli, puntuti scogli, una barriera corallina (è una questione di splendore cromatico, oltreché di questa loro ramificazione biomorfica, che mi ci fanno pensare) composta da elementi fisicamente minuti ma tacitamente alleati gli uni con gli altri, in grado di concatenarsi facilmente voglio dire, frammenti di un (potenzialmente infinito) discorso amorosamente scultoreo…”
I colori hanno un ruolo essenziale nel qualificare ciascuna personalità; nondimeno i titoli, come evidenzia infine Di Capua: “Ma che personaggi, e che attori che sono: eccoli qui, mentre ci presentano le loro credenziali: Il Cavaliere Azzurro, lo Sciamano, il Pugile, L’uomo che ride (da Victor Hugo), un Re David risolutamente antimichelangiolesco, L’inquilino (del terzo piano, di Roman Polanski), e una Pietà; ma abbiamo anche il Contabile, il Giudice, con riflessi da Pirandello ma anche da Le anime morte di Gogol o da una qualche tellurica Spoon River...
E quanto si atteggiano e simulano queste maschere, come sono consapevoli della loro teatralità […] Perciò, ora, non meno fantasticamente di come li avrebbe incitati Alberto Savinio: narrate (piccoli grandi) uomini, la vostra storia.”
Luoghi
06.68804621 338.5005483
Orari apertura: Martedì - Venerdì h.15,00-20,00; Sabato h. 11-13/15-19,30