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10/07/2003 al 27/07/2003 ANDREA AMBROGETTI: linea di confine
Attraverso una sequenza di tredici immagini fotografiche in bianco e nero tutte di formato verticale, ad eccezione dell’ultima che conclude la serie di formato orizzontale, Andrea Ambrogetti, autore delle foto, focalizzando il suo interesse esclusivamente sul ritratto di un unico modello, da lui tuttavia osservato in due situazioni diverse con cambiamenti minimi della posa e lievi scarti d’inquadratura laterali, intende farci percepire una linea di confine tra normalità e diversità dalla soglia dai margini quanto mai indefiniti. La sequenza fotografica del soggetto maschile proposto nella serie, in una specie di campo e controcampo tra ciò che sembra e ciò che potrebbe essere, nella contiguità di lettura di due immagini per volta apparentemente così diverse tra loro, ci suggerisce la compresenza di pulsioni differenti nella stessa persona, tali da farci escludere considerazioni scontate e soluzioni che si vorrebbero rassicurantemente definitive. Il giovane che posa in sei foto a tutto campo di formato verticale, secondo soluzioni compositive mutuate dalla tradizione del ritratto fotografico – volto di tre quarti, mano appoggiata allo schienale di una sedia – non attrae la nostra attenzione per una sua evidente corporeità analiticamente descritta con una messa a fuoco incisiva, quanto piuttosto perché emana una interiorità non apparente ma profondamente intima, a cui alludono e l’uso di una luce fluida e la quasi inconsistenza corporea del soggetto, come ectoplasmica e allusiva ad una verità più profonda, e occulta. La luce, appunto, che quasi cava il soggetto dall’ombra pur lasciandolo, nei ritratti che potremmo definire classici, in uno stato d’incorporeità che ne fa risaltare i tratti delicati del volto e la posa della mano posta di quinta in primo piano, nella Foto sei, dove il viso è illuminato dal basso, nell’intensità dello sguardo sottolinea l’affiorare dell’anima che progressivamente si disvela. Non è casuale che Andrea Ambrogetti oltre che fotografo sia scrittore e poeta: lo sguardo del modello indica allusivamente la soglia di comunicazione tra il dentro e il fuori, tra ciò che è e ciò che si cela. Per questo alla Foto sei – unico caso nella sequenza – se ne affianca un’altra, dove il soggetto a torso nudo, ma ancora privo degli attributi del travestimento, sembra volere suggerire il superamento possibile della linea di confine. A proposito di questo, nel campo e controcampo di cui si è detto, i sei ritratti del modello sono intervallati nella serie da altri sei che ce lo mostrano spogliato degli abiti maschili vestiti in precedenza, e rivestito di elementi seduttivi appena citati tradizionalmente usati dal femminile come potenzialità attrattive: un vezzo per il collo, un pizzo nero per nascondere-mostrare lo sguardo. Ed è proprio sulla linea di contiguità di lettura tra i ritratti maschili alternati a quelli dello stesso modello travestito con annotazioni d’abbigliamento femminile, che se ne definisce l’alterità, certo non esibita, tuttavia lì a mostrarsi quasi con una certa pudicizia, comunque capace di svelare ciò che è celato allo sguardo distratto. Ecco allora che la linea di confine dalla soglia indefinita ci appare e si rivela nei suoi molteplici travestimenti. Il velo, le perle, la rouge che adornano il collo e il volto del modello si affiancano alla normalità dell’abito maschile e della posa classica. Norma e diversità possono coesistere non necessariamente per sovrapporsi o eliminarsi l’un l’altra. Forse basterebbe solo accettare che l’alterità esiste, semplicemente.