Alessandro Piangiamore. Quaranta
Magazzino è lieta di aprire la sua nuova stagione espositiva con la terza mostra personale di Alessandro Piangiamore negli spazi della galleria. Il titolo della mostra, Quaranta, è un riferimento diretto al numero delle opere esposte, ma anche, in modo meno esplicito, a una ricorrenza e quindi a un rituale, elemento costante nel percorso dell’artista siciliano.
Il corpus della mostra è costituito dalle opere della serie Ikebana, basate su un procedimento di raccolta legato al quotidiano e al contingente: fiori trovati negli scarti dei mercati o lungo i percorsi giornalieri compiuti dall’artista, raccolti e poi impressi in lastre realizzate con materiali da costruzione. Alla durezza della materia e della struttura si oppone la leggerezza dei fiori, che rimandano a un’idea tradizionale di bellezza e di fragilità. Così, l’esaltazione dell’impronta lasciata da qualcosa di effimero conferisce alle opere un carattere che oscilla tra una bellezza ancora vitale e l’eco di una zona crepuscolare: quel che vediamo è, in effetti, solamente contorno, ricordo, una traccia che, sebbene eterna, è testimone di uno svanimento. Il riferimento al passato – già evidente nel processo di creazione – diventa centrale nei titoli, in cui è riportata la data di realizzazione preceduta dalla parola ieri poiché, materialmente, il risultato di un lavoro è visibile soltanto il giorno successivo.
Il termine Ikebana cita l’arte giapponese della disposizione dei fiori recisi, che l’artista di fatto applica nelle sue opere, senza però farsi guidare dal virtuosismo e senza, soprattutto, ambire all’armonia estetica e alla naturalezza delle forme, che sono invece il fine della tecnica orientale originale. Come sempre nel suo lavoro, Piangiamore rinuncia volontariamente al controllo dell’ultima parte del processo creativo, dopo aver posto le basi per il suo completamento: il cemento è versato al negativo e il risultato della sua azione sui fiori non è visibile fino a quando non è più possibile modificare il risultato.
Il percorso espositivo si completa con una serie di sculture in ferro zincato, concepite dall’artista come oggetti atti al sollevamento delle opere, metaforicamente, quindi, alla loro elevazione attraverso uno sforzo fisico. Queste “leve” sono pensate come utensili, la cui funzionalità è solo ipotetica e non verificabile; restano quindi in bilico tra l’essere oggetti “funzionabili” e l’impraticabilità dello scopo per cui sono state concepite. Il loro aspetto è allo stesso tempo industriale, leggero, magico e minaccioso. Fanno parte, in buona sostanza, del sistema che Alessandro Piangiamore ha costruito negli anni della sua ricerca: un sistema borgesiano, ordinato su oggetti e figure reali che esistono soltanto grazie alle possibilità dell’immaginazione. Per dirla proprio con Borges: “Accettiamo facilmente la realtà, forse perché intuiamo che niente è reale”.
Il corpus della mostra è costituito dalle opere della serie Ikebana, basate su un procedimento di raccolta legato al quotidiano e al contingente: fiori trovati negli scarti dei mercati o lungo i percorsi giornalieri compiuti dall’artista, raccolti e poi impressi in lastre realizzate con materiali da costruzione. Alla durezza della materia e della struttura si oppone la leggerezza dei fiori, che rimandano a un’idea tradizionale di bellezza e di fragilità. Così, l’esaltazione dell’impronta lasciata da qualcosa di effimero conferisce alle opere un carattere che oscilla tra una bellezza ancora vitale e l’eco di una zona crepuscolare: quel che vediamo è, in effetti, solamente contorno, ricordo, una traccia che, sebbene eterna, è testimone di uno svanimento. Il riferimento al passato – già evidente nel processo di creazione – diventa centrale nei titoli, in cui è riportata la data di realizzazione preceduta dalla parola ieri poiché, materialmente, il risultato di un lavoro è visibile soltanto il giorno successivo.
Il termine Ikebana cita l’arte giapponese della disposizione dei fiori recisi, che l’artista di fatto applica nelle sue opere, senza però farsi guidare dal virtuosismo e senza, soprattutto, ambire all’armonia estetica e alla naturalezza delle forme, che sono invece il fine della tecnica orientale originale. Come sempre nel suo lavoro, Piangiamore rinuncia volontariamente al controllo dell’ultima parte del processo creativo, dopo aver posto le basi per il suo completamento: il cemento è versato al negativo e il risultato della sua azione sui fiori non è visibile fino a quando non è più possibile modificare il risultato.
Il percorso espositivo si completa con una serie di sculture in ferro zincato, concepite dall’artista come oggetti atti al sollevamento delle opere, metaforicamente, quindi, alla loro elevazione attraverso uno sforzo fisico. Queste “leve” sono pensate come utensili, la cui funzionalità è solo ipotetica e non verificabile; restano quindi in bilico tra l’essere oggetti “funzionabili” e l’impraticabilità dello scopo per cui sono state concepite. Il loro aspetto è allo stesso tempo industriale, leggero, magico e minaccioso. Fanno parte, in buona sostanza, del sistema che Alessandro Piangiamore ha costruito negli anni della sua ricerca: un sistema borgesiano, ordinato su oggetti e figure reali che esistono soltanto grazie alle possibilità dell’immaginazione. Per dirla proprio con Borges: “Accettiamo facilmente la realtà, forse perché intuiamo che niente è reale”.
Luoghi
http://www.magazzinoartemoderna.com 06 6875951 06 68135635
Orario di apertura: dal martedì al sabato ore 11-20. Chiuso domenica e lunedì ingresso libero