28/10/2017  al 16/12/2017

Alberto Biasi / Agostino Bonalumi "Avanguardia senza fine 1959-2013"

A cura di: Leonardo Conti

Alberto Biasi / Agostino Bonalumi  "Avanguardia senza fine 1959-2013" La PoliArt Contemporary di Milano presenta ALBERTO BIASI E AGOSTINO BONALUMI | AVANGUARDIA SENZA FINE, la prima mostra in cui venti opere scelte dei due artisti sono poste in un confronto cronologico serrato, dalla fine degli anni Cinquanta sino al 2013. 
Biasi e Bonalumi sono tra i protagonisti internazionali di quella cruciale generazione che, in piena fascinazione fontaniana, ha sentito la necessità di elaborare nuovi linguaggi. Ciò che emerge, seguendo l’evoluzione parallela dei due artisti, è la capacità, nella reciproca coerenza tematica, di porre sempre nuove problematiche alle proprie ricerche, nella creazione di nuovi cicli, di decennio in decennio. Proprio questa è la linea curatoriale della mostra: la verifica e l’indagine di quelle problematiche e innovazioni, attraverso l’esposizione di un’importante raccolta di opere appartenenti ai cicli più rilevanti. 

Se, già sul finire degli anni Cinquanta, la ricerca di BIASI si pone come fondante per l’arte programmata e cinetica internazionale, BONALUMI è tra i capiscuola di quella particolare uscita dalla stagione informale, attraverso la costituzione di forze soggiacenti che conducono alle sperimentazioni sull’estroflessione. 
L’uso della profondità è un comune denominatore agli esordi delle ricerche dei due artisti. Se ALBERTO BIASI, già nel ciclo delle Trame (1959), attraverso la sovrapposizione sfasata di fogli colmi di buchi (dai graticci dei bachi da seta), pone proprio la profondità come strategia compositiva per gli effetti di mutevolezza percettiva, anche AGOSTINO BONALUMI si muove nella direzione del profondo, costruendo forze di tensione che producono l’estroflessione della superficie. Nell’opera Senza titolo del 1959, all’interno di una sensibilità ancora pienamente informale, BONALUMI già dispone pezzi di tubo nel drappeggio raggrumato di tela e cemento, componendo una sorta di dorsale, già allusiva a quelle architetture soggiacenti, che presto saranno le profondità delle sue estroflessioni. 

Negli anni Sessanta, nell’ambito del Gruppo N, BIASI elabora compiutamente la radicale distinzione tra forma cinetica e forma dinamica: la forma cinetica si muove, producendosi in un movimento reale (con un motore ad esempio), la forma dinamica è ferma, ma induce il movimento in chi guarda, ci muove, proprio in virtù di una mutevolezza percettiva. ALBERTO BIASI dedicherà, seppure non esclusivamente, la maggior parte della propria ricerca alla forma dinamica, come nei cicli delle Torsioni (o Dinamiche) e dei Rilievi Ottico-dinamici. Nella prima Dinamica in mostra, del 1969, è proprio la torsione di molteplici stringhe, inchiodate al centro e lungo il perimetro della forma geometrica ovale scelta come sfondo, a creare l’effetto di dinamismo ottico, che induce l’osservatore a spostare il proprio punto di vista. 

AGOSTINO BONALUMI negli anni Sessanta si misura con il fuori (con le forze del fuori), creando diverse forme aggettanti, talvolta squadrate ma perlopiù tondeggianti, fino al cerchio, spesso anche isolate al centro delle tele. Il suo problema ora è lo spazio, in una declinazione inedita rispetto alla scultura, perché la forma emerge dalla tela allestita in parete, quindi interagendo anche con una percezione non abituale della forza gravitazionale. Sono anni in cui l’artista verifica le quantità di forze, per trovare luoghi di equilibrio tra le forme e lo spazio circostante. Poi, presto, anche la luce, con i suoi effetti d’ombre, diventerà un elemento compositivo nelle opere di BONALUMI, inaugurando il suo grande filone di ricerca, in cui forma reale e forma percettiva, evocata, s’innestano l’una nell’altra mescolandosi.
Negli anni Settanta l’artista approfondisce questo rapporto tra spazio e luce, costruendo opere dalle forme tipicamente parallele. Nel grande Bianco del 1975 (già esposta alla Mathildenhöhe di Darmastadt), è una fluidità chiaroscurale, quasi nautica, a fondere le forti estroflessioni allo spazio circostante.

Negli stessi anni Settanta, in anni in cui la pittura è morta come linguaggio, ALBERTO BIASI crea i Politipi, nella necessità di approfondire e ampliare le possibilità linguistiche della propria ricerca, fatta di piani, stringhe in torsione, e chiodi: con una nuova libertà compositiva, l’artista diviene persino rappresentativo, simbolico e figurativo. Nel grande politipo DAL BIANCO IL NERO, DALLA NOTTE IL GIORNO del 1980 (già esposto a Palazzo Ducale di Genova), una striscia mediana di luce/ombra raccoglie nello sguardo di chi passa l’attimo ambiguo che lega il giorno e la notte, la luce e l’ombra. 

Per BONALUMI gli anni Ottanta sono il momento di riflessione sulla propria identità di “pittore” (definizione che amava darsi): le superfici estroflesse si animano di una sensibilità cromatica divisionista, fatta di tratti giustapposti di colore. Nell’opera in mostra, Rosso del 1987 (anch’essa esposta alla Mathildenhöhe di Darmastadt), i rapporti di luce/ombra s’intridono di sfumature aranciate: il fondamentale rapporto tra dato reale e dato percettivo si spinge talmente verso quest’ultimo, da spostare l’estroflessione oltre il bordo della quadratura dell’opera, che persino si stacca dalla parete mediante un asimmetrico controtelaio.
Già nel 1990, poi, la ricerca di BONALUMI cambia radicalmente. La stessa strategia compositiva si basa non più su “centine” di legno, perché l’artista comincia a utilizzare tondini metallici, con cui concretamente disegna, estroflettendo e introflettendo il piano limite della superficie, spesso debordando. Nell’opera Blu del 2000 (già esposta al Museo Marca di Catanzaro), quasi in un omaggio a Albers, il corpo del segno, che l’artista traccia nella superficie, distorce la percezione dei differenti quadrati concentrici dipinti di blu. In un’opera come Bianco del 2013, poi, attraverso la massima essenzialità, BONALUMI, pare realizzare quel luogo ineffabile che corrisponde al suo verso poetico “difficile cogliersi”.
Anche BIASI, tra il 1999 e il 2000, cambia tutto con gli Assemblaggi, opere composte da due o più tele, trattenute da una striscia dinamica verticale. In un’opera come Ecco del 2005 (già esposto alla Casa del Mantegna di Mantova), la stessa ricerca “dinamica” diviene parte di un sistema più grande, in cui l’artista pone la molteplicità come estrema soluzione al problema irrisolto dello spazio, posto da Fontana più di mezzo secolo prima.

Luoghi

  • PoliArt Contemporary - Viale Gran Sasso, 35 - Milano
             02 70636109

    orario: mer, gio, ven 16.30-19, sab 10.30-13 ingresso libero

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