Agostino Ferrari e il gruppo del cenobio La Pietra – Sordini – Verga - Vermi
A cura di: Testo di Martina Corgnati
È una mostra organica sul sodalizio artistico che, preparato e in gestazione dalla metà degli anni cinquanta del Novecento, si formò e si sciolse a Milano giusto mezzo secolo fa, tra il 1962 e il 1963, i cui presupposti si sono poi sviluppati nelle esperienze individuali dei singoli artisti. Il Gruppo prese il nome, che si prestava ai loro obiettivi di ricerca e produzione comune, dalla galleria milanese il Cenobio di Cesare Nova e Rina Majoli situata in via San Carpoforo, nei pressi di Brera, che, con ambizioni culturali e non solo mercantili, dal 12 dicembre 1962 ospitò la prima mostra di un nucleo di giovani pittori nati tra la fine degli anni venti e quella degli anni trenta - Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga, Arturo Vermi - che vivevano le aperture e le difficoltà del "dopo l'Informale", comportanti cambiamenti epocali, in un contesto di ridiscussione statutaria dei linguaggi artistici che li segnarono profondamente.
Accompagnavano in catalogo il sestetto di poesie di Alberto Lùcia e una singolare pagina tratta da "L'Isola dei Beati" di August Strindberg scelta, a sottolineare metaforicamente la loro autonomia, dagli stessi artisti. Che si ripresentarono l'anno successivo, ancora con un testo di Lùcia, prima ancora a Milano, dal 15 al 31 maggio nella Galleria L'Indice, titolazione che consentì ai cinque di ribadire ironicamente la loro posizione alternativa (“IL CENOBIO ALL'INDICE”, appunto), e subito dopo, dal medesimo 31 maggio del 1963, a Firenze alla Saletta del Fiorino, ultima mostra del gruppo ancora unito, che chiude una esperienza breve e intensa, per aprire vie diverse e parallele, che in molteplici casi sono riuscite a intersecarsi, segnando ulteriori tappe sul percorso, mai interrotto, della ricerca del loro ideale di concezione dell’arte.
Itinerari che la mostra presso la Galleria Centro Steccata documenta con quattro opere per ciascuno dei cinque artisti, datate dal 1962, per un totale di venti opere.
Con questa mostra la Galleria Centro Steccata ha voluto dare particolare rilievo al lavoro di Agostino Ferrari esponendo in una sala a lui interamente dedicata dieci opere di grandi dimensioni (150x150 – 120x160), che percorreranno la ricerca dell’artista partendo dal ciclo Segno Scrittura, passando attraverso I frammenti dei Palinsesti e le Maternità, per arrivare alle ultime serie intitolate significativamente Interno-Esterno e Oltre la soglia.
(stralci rivisitati tratti da testi su Agostino Ferrari a cura di Martina Corgnati)
(...) Il segno innanzitutto, il ritmo, lo spazio e la superficie. Quasi non c'è altro: e tutto questo viene documentato in questa mostra importante da una ventina appena di "pietre miliari", passi imprescindibili che hanno segnato (...) il cammino di Agostino Ferrari nella pittura e nell'arte, interpretate come dimensioni specifiche, certo ma anche prassi ed esperienze capaci di rivolgersi all'oscurità del cosmo, all'ignoto e all'infinito, al di là della dimensione addomesticata dell'esistenza umana, come raggi di luce, possibilità di futuro, intuizioni di vita e di bellezza: come le altre grandi opere dell'intelligenza umana.
Le opere scelte offrono un excursus nell’eccellenza dell’opera di Agostino Ferrari, a partire dalle prime opere degli anni 60, i primi segni. È stato tracciando dei segni, piccole tacche impresse nell'argilla di tavolette contabili, che l'umanità si è affrancata dalla preistoria più o meno 6000 anni fa. Segni minimi, ripetuti tante volte quante erano le unità da misurare; segni non troppo dissimili a quelli di cui Agostino Ferrari ha disseminato le prime opere da cui, più o meno 50 anni fa, ha preso origine il suo percorso. L'immersione nella poetica del “Cenobio” coincide quindi per Ferrari con la scoperta del segno come elemento chiave, strumento giusto per impostare una ricerca propria che, d'altra parte, si alimenta anche del potentissimo spunto che Lucio Fontana aveva dato.
Ecco quindi il ciclo segno-scrittura: in questo ciclo caratterizzato da tracce elementari, graffite e quasi incise nel corpo della pittura, e da superfici di piccole dimensioni e per lo più quasi sempre monocrome, l'artista sembra voler ritornare alle origini, ripercorrere a ritroso in un solo atto di consapevolezza e di volontà tutta la storia dell'umanità fino al momento primo, alle spalle dell'invenzione dell'alfabeto e finanche del geroglifico.
(...) La superficie, lo spazio, gli andamenti. E sono questi ultimi a caratterizzare i bellissimi cicli successivi, dei Frammenti e dei Palinsesti. (...)stratificazioni parziali di antiche tracce: la mano di Ferrari si muove in totale libertà da destra a sinistra e dall'alto in basso, assumendosi il rischio dell'errore e dell'incertezza. I segni sembrano scorrere sulla superficie illesa come note in una partitura, sensibili soltanto a ritmi ed armonie implicite che graziosamente si concedono all'orecchio dell'artista. Ritmo è la parola chiave per intendere questo lavoro, il più "pericoloso" che Agostino Ferrari mai abbia sviluppato: in questi grandi spazi, infatti, non è ammessa nessuna possibilità di correzione o di ripensamento, ogni passaggio è segnato in perpetuo e così ogni possibile passo falso, che implica inevitabilmente la perdita dell'intero lavoro.
(...) l'andamento è quello di una partitura musicale, il senso naturale del moto, da sinistra a destra, come quello della mano che scrive, resta l'idea del continuum, dell'all over, potenzialmente esteso a spazi ben più ampi della semplice superficie della tela. E’ con queste opere che Agostino Ferrari incomincia a usare la sabbia per "caricare" la traccia del suo segno, una sabbia vulcanica dal nero profondo, assoluto, che gli sarà imprescindibile compagna in tutti i cicli ulteriori. (...)
Dopo le delicate efflorescenze dei Palinsesti, lo spirito razionale, quasi illuminista, di Agostino Ferrari reclama il proprio spazio e la propria libertà di manovra: le Maternità recuperano infatti la nozione di processo e un'apollinea chiarezza di concezione che, mai come in questo caso, si fa e determina la forma. (...)
Ed è dal corpo luminoso e sensibile della sabbia che nascono le Maternità, vera e propria pietra miliare nella produzione di Agostino Ferrari perché con esse viene lacerato per la prima volta il continuum della composizione unitaria insinuandovi un particolarissimo "doppio livello", quello del paradigma e dell'esemplificazione, del criterio e dell'applicazione, di una spazialità resa complessa dall'esistenza di un primo e di un secondo livello, quello della madre/padre e del figlio/figlia. (...) la sua esigenza qui è di chiarire la genesi dell'opera, sottraendola all'oscurità di nozioni e termini come "ispirazione" o "sensibilità". (...)
Ma tutto questo ancora non basta ad Agostino Ferrari: i poli di una dialettica sono stati posti, è vero, ma ancora manca il legame, il tramite, il mezzo per articolare la relazione fra i differenti livelli spaziali che la pittura adesso include. E questi non può che essere, considerato, l'artista, il segno. È lui che, nell'ultima serie intitolata significativamente Interno-Esterno, si fa strumento di un dialogo fra noto e ignoto, immanenza e trascendenza, presente e futuro, potenza e atto. È un segno plastico, snodato, quasi fisico (produce ombra).
Accompagnavano in catalogo il sestetto di poesie di Alberto Lùcia e una singolare pagina tratta da "L'Isola dei Beati" di August Strindberg scelta, a sottolineare metaforicamente la loro autonomia, dagli stessi artisti. Che si ripresentarono l'anno successivo, ancora con un testo di Lùcia, prima ancora a Milano, dal 15 al 31 maggio nella Galleria L'Indice, titolazione che consentì ai cinque di ribadire ironicamente la loro posizione alternativa (“IL CENOBIO ALL'INDICE”, appunto), e subito dopo, dal medesimo 31 maggio del 1963, a Firenze alla Saletta del Fiorino, ultima mostra del gruppo ancora unito, che chiude una esperienza breve e intensa, per aprire vie diverse e parallele, che in molteplici casi sono riuscite a intersecarsi, segnando ulteriori tappe sul percorso, mai interrotto, della ricerca del loro ideale di concezione dell’arte.
Itinerari che la mostra presso la Galleria Centro Steccata documenta con quattro opere per ciascuno dei cinque artisti, datate dal 1962, per un totale di venti opere.
Con questa mostra la Galleria Centro Steccata ha voluto dare particolare rilievo al lavoro di Agostino Ferrari esponendo in una sala a lui interamente dedicata dieci opere di grandi dimensioni (150x150 – 120x160), che percorreranno la ricerca dell’artista partendo dal ciclo Segno Scrittura, passando attraverso I frammenti dei Palinsesti e le Maternità, per arrivare alle ultime serie intitolate significativamente Interno-Esterno e Oltre la soglia.
(stralci rivisitati tratti da testi su Agostino Ferrari a cura di Martina Corgnati)
(...) Il segno innanzitutto, il ritmo, lo spazio e la superficie. Quasi non c'è altro: e tutto questo viene documentato in questa mostra importante da una ventina appena di "pietre miliari", passi imprescindibili che hanno segnato (...) il cammino di Agostino Ferrari nella pittura e nell'arte, interpretate come dimensioni specifiche, certo ma anche prassi ed esperienze capaci di rivolgersi all'oscurità del cosmo, all'ignoto e all'infinito, al di là della dimensione addomesticata dell'esistenza umana, come raggi di luce, possibilità di futuro, intuizioni di vita e di bellezza: come le altre grandi opere dell'intelligenza umana.
Le opere scelte offrono un excursus nell’eccellenza dell’opera di Agostino Ferrari, a partire dalle prime opere degli anni 60, i primi segni. È stato tracciando dei segni, piccole tacche impresse nell'argilla di tavolette contabili, che l'umanità si è affrancata dalla preistoria più o meno 6000 anni fa. Segni minimi, ripetuti tante volte quante erano le unità da misurare; segni non troppo dissimili a quelli di cui Agostino Ferrari ha disseminato le prime opere da cui, più o meno 50 anni fa, ha preso origine il suo percorso. L'immersione nella poetica del “Cenobio” coincide quindi per Ferrari con la scoperta del segno come elemento chiave, strumento giusto per impostare una ricerca propria che, d'altra parte, si alimenta anche del potentissimo spunto che Lucio Fontana aveva dato.
Ecco quindi il ciclo segno-scrittura: in questo ciclo caratterizzato da tracce elementari, graffite e quasi incise nel corpo della pittura, e da superfici di piccole dimensioni e per lo più quasi sempre monocrome, l'artista sembra voler ritornare alle origini, ripercorrere a ritroso in un solo atto di consapevolezza e di volontà tutta la storia dell'umanità fino al momento primo, alle spalle dell'invenzione dell'alfabeto e finanche del geroglifico.
(...) La superficie, lo spazio, gli andamenti. E sono questi ultimi a caratterizzare i bellissimi cicli successivi, dei Frammenti e dei Palinsesti. (...)stratificazioni parziali di antiche tracce: la mano di Ferrari si muove in totale libertà da destra a sinistra e dall'alto in basso, assumendosi il rischio dell'errore e dell'incertezza. I segni sembrano scorrere sulla superficie illesa come note in una partitura, sensibili soltanto a ritmi ed armonie implicite che graziosamente si concedono all'orecchio dell'artista. Ritmo è la parola chiave per intendere questo lavoro, il più "pericoloso" che Agostino Ferrari mai abbia sviluppato: in questi grandi spazi, infatti, non è ammessa nessuna possibilità di correzione o di ripensamento, ogni passaggio è segnato in perpetuo e così ogni possibile passo falso, che implica inevitabilmente la perdita dell'intero lavoro.
(...) l'andamento è quello di una partitura musicale, il senso naturale del moto, da sinistra a destra, come quello della mano che scrive, resta l'idea del continuum, dell'all over, potenzialmente esteso a spazi ben più ampi della semplice superficie della tela. E’ con queste opere che Agostino Ferrari incomincia a usare la sabbia per "caricare" la traccia del suo segno, una sabbia vulcanica dal nero profondo, assoluto, che gli sarà imprescindibile compagna in tutti i cicli ulteriori. (...)
Dopo le delicate efflorescenze dei Palinsesti, lo spirito razionale, quasi illuminista, di Agostino Ferrari reclama il proprio spazio e la propria libertà di manovra: le Maternità recuperano infatti la nozione di processo e un'apollinea chiarezza di concezione che, mai come in questo caso, si fa e determina la forma. (...)
Ed è dal corpo luminoso e sensibile della sabbia che nascono le Maternità, vera e propria pietra miliare nella produzione di Agostino Ferrari perché con esse viene lacerato per la prima volta il continuum della composizione unitaria insinuandovi un particolarissimo "doppio livello", quello del paradigma e dell'esemplificazione, del criterio e dell'applicazione, di una spazialità resa complessa dall'esistenza di un primo e di un secondo livello, quello della madre/padre e del figlio/figlia. (...) la sua esigenza qui è di chiarire la genesi dell'opera, sottraendola all'oscurità di nozioni e termini come "ispirazione" o "sensibilità". (...)
Ma tutto questo ancora non basta ad Agostino Ferrari: i poli di una dialettica sono stati posti, è vero, ma ancora manca il legame, il tramite, il mezzo per articolare la relazione fra i differenti livelli spaziali che la pittura adesso include. E questi non può che essere, considerato, l'artista, il segno. È lui che, nell'ultima serie intitolata significativamente Interno-Esterno, si fa strumento di un dialogo fra noto e ignoto, immanenza e trascendenza, presente e futuro, potenza e atto. È un segno plastico, snodato, quasi fisico (produce ombra).
Luoghi
www.centrosteccata.com 0521 285118 0521 285118
orario: tutti i giorni(festivi esclusi) 10:30-13/15.30-19:30